Si cerca l’accordo per riaccendere la tv Ert
Grecia Oggi vertice di maggioranza sulla televisione pubblica
Grecia Oggi vertice di maggioranza sulla televisione pubblica
La mobilitazione della gente di Atene, di Salonicco, di Patrasso, di Irakleio, di Corfù, la determinazione dei lavoratori della Ert e la grandissima solidarietà europea e internazionale per salvare il diritto alla libera e pubblica informazione in Grecia hanno per la prima volta travolto le politiche dei Memorandum e della troika.
Il presidente del Consiglio di Stato, Konstantinos Menoudakos, in mancanza di un vero Tribunale Costituzionale, con una salomonica decisione ha creduto di salvare la faccia al premier Samaras senza accontentare più di tanto i suoi arrabbiati concittadini che da giorni assediano le sedi della radiotelevisione pubblica in tutto il paese chiedendo le dimissioni del governo e la riapertura della “televisione di tutti”.
La tv pubblica deve riaprire con l’obiettivo della sua ristrutturazione, ha detto in pratica Menoudakos, offrendo a Samaras il destro per salvare il suo governo perdendo probabilmente solo qualche ministero, che sarà concesso, nel rimpasto previsto tra due settimane, agli alleati di Pasok e Sinistra Democratica. Intanto oggi i tre leader dei partiti al governo dovranno trovare la soluzione per riaccendere l’Ert e ridisegnare il suo futuro prossimo sulla base della decisione del Consiglio di Stato.
Ieri sera il Tribunale Supremo della Cassazione, interpretando Menoudakos, ha deciso che l’Ert deve funzionale con personale di emergenza e un amministratore. Su questo punto si apre un nuovo vuoto legislativo: il ministro delle Finanze Stournaras ha già sciolto la Ert Spa e deve creare nuove basi legali.
Secondo l’interpretazione del tribunale l’Ert deve lavorare con personale a tempo determinato. Il governo dovrà decidere se i lavoratori saranno assunti tra i licenziati della Ert o da altre aziende e indicare l’amministratore che gestirà la ristrutturazione. Si rischia una nuova ondata di proteste perché il piano del ministro delle finanze è quello di assumere 30 persone con contratti bimestrali solo per far sparire l’odiato nero dai teleschermi. Un pugno di persone per trasmettere anche tre tg al giorno.
Quanto peserà sulle prossime decisioni la rivolta di questi giorni? Per tanti giornalisti e tecnici il sostegno dei cittadini rappresenta un punto di non ritorno al clima dei ricatti, della paura e delle minacce che da tempo si respirava alla Ert, diventata megafono dei governi dei tagli. L’aria di libertà che si respira nella sede di «Ert liberata» fa sì che molti credano che l’era della “tv di stato” sia finita e si sia aperta l’epoca della democrazia di una televisione pubblica, cioè di tutti.
Per dieci giorni e in condizioni di estrema difficoltà l’Ert ha fatto vedere ai greci tutto quello che nascondevano da quasi quattro anni Papandreou, Papademos e Samaras. Dai suoi studi non sono passati solo i soliti politici, giornalisti, analisti e quelli che “contano”, ma spazzini del comune di Atene, disoccupati, precari, studenti, immigrati e perfino qualcuno che voleva cantare… l’inno nazionale. La gente partecipa ai concerti dei più vari gruppi versando qualche lacrima per l’improvvisa soppressione della banda sinfonica che Samaras voleva imporre. Si ride invece quando il cantautore Stamatis Kraounakis dopo mezz’ora di happening vuole mandare «merda alla faccia di Samaras, Venizelos e Koubelis»…
La lotta unitaria per salvare l’Ert sembra non aver insegnato nulla al nuovo segretario del Kke Dimitris Koutsoumbas, che lunedì sera a due passi dalla sede della tv ha attaccato Syriza accusandola di voler assecondare «gli obiettivi dei monopoli e della Ue». Nello stesso momento da piazza Syntagma il leader di Syriza Alexis Tsipras di fronte a 30mila persone, la più grande manifestazione di un partito di sinistra degli ultimi anni, ha chiesto l’unità delle forze di sinistra e democratiche per far cadere il governo. E ha concluso con l’appello: «Tutti insieme alla sede della Ert per salvare la libertà e la democrazia e licenziare i colpevoli della crisi».
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