Shots In The Dark, infinite variazioni all’origine dello ska
Intervista Dalla scena antagonista il ritorno della band capitolina con l’album «Chicken Blues»
Intervista Dalla scena antagonista il ritorno della band capitolina con l’album «Chicken Blues»
In un’intervista di molti anni fa, Clement «Sir Coxcone» Dodd, uno dei padri putativi dello ska, affermava che la ricetta per avere una band valida in tale direzione musicale era piuttosto semplice. Bastava soltanto ‘tenere su il tempo, usandolo come lo shuffle. Per poi ottenere questo tipo di ritmo costante e ballabile’. Una piccola grande verità dalla quale non si può esimere nessuna band che si muova lungo queste coordinate stilistiche. Sicuramente hanno mantenuto fede a tali dettami anche gli Shots In The Dark, band romana che dal 1999 tiene viva la tradizione ska e rocksteady nella penisola. L’orchestra nata nel cuore del quartiere di San Lorenzo in un momento musicale estremamente fertile della scena musicale capitolina legata ai movimenti antagonisti e antifascisti di allora, rientra nel giro con un nuovo lavoro discografico – Chicken Blues – composto da undici brani ben fatti e ottimamente suonati. «Il nuovo album – spiega il sassofonista Danny Marocchi: è un progetto che presenta delle differenze rispetto al passato.
IL SOUND si muove sempre in ambiti ska e rocksteady ma è tornata la potenza dei bassi delle origini della musica giamaicana. Il titolo é un omaggio al nostro grande armonicista Marco ‘Vitello’ Marinelli, un vero e proprio bluesman metropolitano, venuto a mancare qualche tempo fa. Fra i mille talenti che aveva, vi era quello estremamente ironico di riuscire a ipnotizzare le galline, per poi liberarle con un battito di mani. La frivolezza di questo bislacca situazione unita alla voglia di fare nuova musica ricordando il nostro amico sono state le scintille che hanno fatto nascere il nuovo disco. Canzoni dall’impianto originale blues, nelle melodie, nei testi, negli arrangiamenti, nel sentimento e nel lungo processo di produzione, ma che rimangono ska e rocksteady nello svolgimento».
Con Chicken Blues gli Shots In The Dark toccano vertici compositivi mai raggiunti in precedenza. Si tratta di un lavoro che ha acquisito una tonalità maggiormente african american, risultando cosí maggiormente innovativo rispetto agli episodi discografici precedenti: «Ci siamo resi conto che la nos-tra ricerca musicale va sempre più indietro, fino ad arrivare a prima della nascita dello ska, quando in Giamaica i primi sound system diffondevano dalle casse montate in strada musica rhythm’n’blues e jazz Non rimaniamo fermi solo a quei momenti, guardiamo con interesse anche alla fine degli anni sessanta quando il rocksteady è la rappresentazione giamaicana del soul che proveniva dagli Stati uniti, ed al funk del decennio successivo. Crediamo che la black music alla fine sia un unicum, mentre le sue sfaccettature tendono all’infinito e si prestano a ripetute contaminazioni».
LA POTENZA espressiva delle nuove tracce é notevole, come dimostra la ritmata title-track, dove le liriche, esattamente come nel resto della sessionin sala di registrazione hanno sempre un peso considerevole: «Viviamo in un periodo davvero difficile. Molti dei nostri brani nascono proprio dalla rabbia di fronte alle grandi ingiustizie dei tempi che viviamo. Dalla sofferenza inflitta gratuitamente, con cattiveria e senza vergogna dal potere nella sua accezione più negativa, che se la prende con gli indifesi. Se si ha un minimo di sensibilità e di coscienza non si può rimanere indifferenti alle atrocità che avvengono ai confini tra il mondo ricco e quello povero e sfruttato, guardando persone che affogano nel Mediterraneo o che vengono respinte brutalmente alle frontiere. Il blues in questo verso ci dà conforto ma la rabbia rimane. Con la canzone che intitola l’album, auspichiamo una reazione a questa indifferenza generale».
Molti dei nostri pezzi nascono dalla rabbia di fronte alle ingiustizie. Non si può restare indifferenti a quanto accade ai confini tra mondo ricco e quello povero
SPICCA nel disco anche lo strumentale Mojo Whistle, il cui tema nasce da un fischio del batterista della formazione. Circostanza quello dello ‘whistle’ che evoca misconosciuti blues tradizionali del North Carolina e che in questa occasione implementa anche breve citazione di mostri sacri del rocksteady come i Sound Dimension. La presenza massiccia dei fiati nell’orchestra, quattro elementi su un totale di dieci, si esalta ancor piú sia in passaggi roots reggae come Downtown, che nella divertente e saltellante Your Knife. Languida e decisamente Mississippi style al tramonto è la chitarra blues che introduce Shame.
Hot Groove è invece la rivisitazione di un vecchio tema tratto da un erotic movie italiano anni settanta al quale la band dona una freschezza ritmica di spessore. Melanconica è The Sound Is High dedicata allo scomparso armonicista. Oltre le liriche si apprezza il suono figlio di un’epoca in cui le radio di New Orleans che giungevano a Kingston, contribuivano in modo notevole alla nascita del primo ska.
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