Shōji Kaoru, ansie e tormenti di un liceale eletto a paradigma sociale
Scrittori giapponesi In un registro apparentemente leggero e di certo irriverente, un intreccio di questioni soggettive e non solo. Siamo nel 1969, sullo sfondo l’ammissione all’università: «Attenta, Cappuccetto rosso», da Einaudi
Scrittori giapponesi In un registro apparentemente leggero e di certo irriverente, un intreccio di questioni soggettive e non solo. Siamo nel 1969, sullo sfondo l’ammissione all’università: «Attenta, Cappuccetto rosso», da Einaudi
Romanzo di formazione di Shōji Kaoru (pseudonimo di Fukuda Shōji), pubblicato nel 1969 e subito salito all’attenzione del pubblico e della critica tanto da aggiudicarsi il Premio Akutagawa, il più importante riconoscimento nel mondo letterario giapponese, Attenta, Cappuccetto Rosso (ora edito da Einaudi nelle «Letture», pp. 174, € 18,50) ha esercitato sulle successive generazioni di scrittori una influenza di cui non rende giustizia la sua attuale posizione nel canone nazionale, decisamente secondaria rispetto ad autori divenuti poi molto più centrali, primi tra tutti i due Murakami.
La storia in sé è piuttosto lineare. Il protagonista, uno studente liceale di nome Kaoru, nell’arco di un’unica giornata, il 9 febbraio 1969, medita su questioni comuni all’esperienza di qualsiasi adolescente – la definizione di una propria identità, il rapporto con la società, l’amore romantico, l’amicizia e la famiglia – mentre sullo sfondo incombe il momento più significativo nella liturgia che scandisce il tempo dei giovani giapponesi: gli esami di ammissione all’università, nella fattispecie quella di Tokyo, punto di convergenza delle migliori speranze del paese. Il mondo letterario, come le generazioni di lettori che nel corso degli anni l’hanno amato, hanno individuato nel romanzo di Shōji Kaoru non soltanto la semplice rappresentazione delle emozioni di uno studente smanioso, ma anche una immagine vivida dei cambiamenti della società giapponese, e del loro riflesso nella vita interiore di chi era giovane alla fine degli anni Sessanta. Fanno da contorno, e evidentemente anche da catalizzatore per la scrittura, i fatti connessi alle rivolte studentesche, che furono particolarmente numerose e drammatiche soprattutto nella capitale.
Uno dei principali nuclei narrativi, infatti, è l’annullamento dell’esame di ammissione dell’Università di Tokyo, che Kaoru aveva intenzione di sostenere. La data scelta dall’autore, il 9 febbraio 1969, non è causale, perché precede di ventiquattr’ore la scadenza per la presentazione delle istanze di partecipazione all’esame per le università pubbliche (le più prestigiose delle quali erano quella di Tokyo, per l’appunto, e quella di Kyoto), e l’io narrante sottolinea a più riprese la ripetitività di certe domande che soprattutto gli adulti, e tra loro in particolare le «mamme», rivolgono a lui e a chi come lui ha visto il proprio progetto sfumare: che cosa ha intenzione di fare? Proverà a Kyoto, allora?
Segmenti di conversazione interrompono il flusso dei pensieri di Kaoru, che costituiscono al contempo la materia e la forma del racconto, connotato da una narrazione incalzante e ironica, il cui tono discorsivo è spesso scanzonato, e esaltato dalla prospettiva in prima persona del protagonista. In contrapposizione all’eco in qualche modo fiabesca del titolo, Attenta, Cappuccetto Rosso affida a un registro apparentemente leggero e del tutto irriverente un intreccio di domande e conflitti profondi sulla società e sulla dimensione più intima dell’individuo. Lo stile di Shōji Kaoru, reso ottimamente dal suo traduttore Alessandro Clementi degli Albizzi, è introspettivo ma allo stesso tempo ironico e spiritoso, e per questo efficace nella descrizione delle emozioni e delle stasi che albergano nell’animo del protagonista. Ai più ricorderà Holden Caulfield con le sue paturnie, l’irritazione stizzosa, la noia interrotta da vigorosi slanci romantici, come pure per l’esuberanza verbale che trasferisce sul piano delle parole gli ardori e le vertigini della giovinezza.
Al centro della storia stanno l’ansia e le croniche esitazioni di «Kaoru» nel periodo decisivo degli esami, ma i problemi del ragazzo vanno ben oltre la semplice pressione accademica. Kaoru continua infatti a mettere in discussione la natura stessa del proprio Io identitario, il suo posto in ogni luogo della vita, incluse le amicizie, le vicende sentimentali, il rapporto con il resto della famiglia. Sebbene Attenta, Cappuccetto Rosso sia legittimamente stato accolto, all’epoca della sua pubblicazione, come un romanzo sperimentale, supera questi confini per proporsi come storia dell’esplorazione e della scoperta di sé da parte di un adolescente inquieto (inquieti sono tutti gli adolescenti, ma la sua è un’inquietudine eccezionale, come lo è stata quella dei giovani degli anni Sessanta). Kaoru è un ragazzo in qualche modo archetipico, che incarna i limiti e le speranze di un’intera generazione, e per questo il suo romanzo di formazione è, come accade non di rado con questo tipo di genere finzionale, e spesso nei suoi esemplari migliori, un’opera collettiva, il ritratto limpido e sfrontato dei giovani del suo tempo.
Sono visibili e significativi, infatti, i cambiamenti sociali della fine degli anni Sessanta, quando il Giappone attraversava un periodo di rapida crescita economica, le nuove generazioni godevano di uno stile di vita relativamente agiato e tuttavia li aspettavano confusioni e malesseri inediti, provocati dai repentini cambiamenti negli assetti sociali e dal profondo mutamento di valori promossi e percepiti fino a quel momento come una sorta di eredità nazionale, e perciò garanti di stabilità. È in questo contesto che Kaoru, studente brillante e di buona famiglia, quindi destinato a un avvenire roseo, sente la necessità, che è quasi una costrizione, di riflettere seriamente sul proprio sé e sul proprio futuro. Tra un episodio e l’altro della sua giornata «decisiva», tra un incontro, un bisticcio immaginato e qualche rocambolesco colpo di sfortuna, si chiede se quella sia davvero la vita che desidera per sé, se veramente l’obiettivo, la vocazione della sua esistenza debba coincidere con un ingresso trionfante nel mondo elitario dei promossi all’esame di ammissione dell’Università di Tokyo (o di Kyoto, o di qualsiasi altra università).
Gli apparati a cura del traduttore forniscono strumenti utili per l’interpretazione di un’opera che occupa a buon diritto un posto importante nella storia letteraria del Giappone della seconda metà del Novecento. Se, infatti, la prospettiva critica sulla visione della famiglia e del sistema educativo nel dopoguerra risuona come universale e ancora attuale, in Attenta, Cappuccetto Rosso l’esplorazione di sé del protagonista si interseca con una storia nazionale e generazionale fatta di grandi eventi ma anche di episodi minimi e apparentemente banali, e con il vissuto di un autore la cui vicenda esistenziale è stata profondamente influenzata dalla frequentazione di alcuni personaggi-chiave, tra cui l’intellettuale Maruyama Masao, evocato anche all’interno del romanzo; che riesce nell’intento di incarnare il conflitto universale tra il desiderio di realizzare le proprie aspirazioni e la paura del cambiamento attraverso la storia di una ribellione personale, mai veramente compiuta, e in quanto tale mitopoietica.
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