Un vascello olandese procede ormai senza più inseguire una meta sicura. Gli uomini si ammalano e periscono. Il capitano non reputa vi sia alcuna speranza e decide di farla finita. E, osservando quei disperati, sembra non vi sia più scampo nemmeno per il fiero pilota di quell’imbarcazione, l’inglese John Blackthorne. Proprio lui, però, con ostinata determinazione riesce a sopravvivere insieme a un numero esiguo di marinai. La deriva diventa la scoperta di un mondo nuovo, almeno per i naufraghi che, dopo aver superato lo Stretto di Magellano, si credevano perduti per sempre.
In quel luogo, apparentemente incantato, vivono popolazioni con le loro consolidate leggi e tradizioni. E poi qualcun altro è già approdato e ha iniziato ad arricchirsi.

È IL 1600. In quella sconosciuta terra chiamata Giappone, i portoghesi sono arrivati per primi, e per questo, con la chiesa cattolica al seguito, dirigono gelosamente mercati e anime. Colonizzatori e gesuiti stringono accordi sulle rotte navali e tengono nascosta quella porzione di pianeta al resto dell’umanità, in particolare agli inglesi e ai protestanti. È chiaro, allora, che l’arrivo inaspettato di John Blackthorne rappresenti una minaccia, una possibile cesura tra un presente con profitti certi e un futuro imprevedibile.

Quando il mercantile Erasmus, unico di una flotta di cinque navi, tocca la costa giapponese, sono in atto conflitti che porteranno inevitabilmente a scontri cruenti. In gioco è il destino dell’intero paese sull’orlo di una guerra civile. Il signore che governava (il Taiko) è morto e gli attuali cinque reggenti, ambiziosi e al contempo sospettosi l’uno dell’altro, danno l’avvio a una feroce lotta per conquistare il potere assoluto. Tra questi, Yoshii Toranaga, accusato di espansionismo per aver acconsentito a sei matrimoni, è quello che appare più in difficoltà.

È lui a individuare in Blackthorne, definito il «barbaro», una risorsa per rovesciare una situazione decisamente sfavorevole. L’Erasmus non è affatto un innocuo vascello in cerca d’avventura. È pieno di armi che qualche mese prima erano imbracciate da spietati «pirati», pronti a spodestare gli odiati portoghesi e spagnoli. E possedere cannoni e fucili, in una futura guerra, è fondamentale. Ma serve anche saperli usare, soprattutto se nessuno dei contendenti ha mai avuto a disposizione strumenti di così tremenda precisione. Il pilota inglese, dunque, è pronto a intraprendere un capitolo inedito della sua esistenza.

Ispirato a vicende storiche realmente accadute, Shogun è stato prima di tutto un voluminoso romanzo scritto da James Clavell nel 1975, poi una trasposizione televisiva del 1980 in cinque puntate con Richard Chamberlain, Toshiro Mifune e Yoko Shimada, e ora su Disney+, una miniserie divisa in dieci capitoli (di cui cinque già rilasciati) ideata da Rachel Kondo e Justin Marks con Hiroyuki Sanada (Yoshii Toranaga), Cosmo Jarvis (John Blackthorne) e Anna Sawai nel ruolo di Toda Mariko, nobildonna convertita al cattolicesimo che, conoscendo il portoghese (anche se nella serie si trasforma miracolosamente in inglese), è in grado di dialogare con il «barbaro», fornendogli l’accesso a un mondo incomprensibile, non solo da un punto di vista linguistico.
Shogun è un dramma storico che mette in scena gli alti e bassi di un’umanità capace sia di atti orrendi, sia di azioni coraggiose. Tradimenti e alleanze si alternano a qualcosa di più sentimentale e metafisico.

SE DA UN LATO non saranno occultate le violenze e le comuni barbarie di una specie che, nonostante i progressi tecnologici, non è andata oltre l’età della pietra, dall’altro l’incontro di John Blackthorne e Toda Mariko narra lo stupore che la vita sa ancora destare in chi sporadicamente, invece di reprimere se stesso per rispettare le atroci regole del gioco, si lascia andare alla bellezza di un paesaggio e all’estasi della pace. E in tal senso, solo scenografie e costumi d’epoca possono indurci a pensare che questo racconto non riguardi la nostra sventurata epoca.