Shakespeare scende al Tiburtino Terzo
Al cinema Il nuovo film di Roberta Torre «Riccardo va all'inferno», un rutilante musical con Massimo Ranieri protagonista tra sfarzo e grottesco. Musiche di Mauro Pagani
Al cinema Il nuovo film di Roberta Torre «Riccardo va all'inferno», un rutilante musical con Massimo Ranieri protagonista tra sfarzo e grottesco. Musiche di Mauro Pagani
Il musical del male supremo Riccardo va all’inferno, portato in scena da Massimo Ranieri, nel film di Roberta Torre che mantiene la visione frontale del palcoscenico allontana con la sua costante irrisione dal più profondo significato di dramma per diventare farsa, proprio quella che percepiamo intorno a noi. La struggente presenza di Ranieri esprime una duplice maschera di innocenza e malvagità, e moltiplica la sua presenza sulle musiche di Mauro Pagani. Un pugno di espressioni, pochi sguardi in camera da soli sembrano infatti sostenere quel dramma che scorre come su un palcoscenico di avanspettacolo o meglio di set tv anni ’90 con tutto il suo ciarpame, il suo strascico di decadenza popolato di mostri danzanti.
Al film, un Riccardo III a Tiburtino Terzo, in ambientazioni tra il castello dei matrimoni e l’elicottero dei Casamonica, e lo sfarzo grottesco, specchio deformante della nostra società mediatica, manca un po’ di cuore tanta è la voglia di mostrare la vuota patina che ci circonda. La sofferenza esposta in bella vista, confezionata in un trionfo di lustrini e bave, vendette, omicidi seriali e mutilazioni, appaiono come l’inoffensiva colonna sonora della vita contemporanea raccontata giorno dopo giorno da cronaca nera e format che la amplificano. Il film ci mostra che la finzione mai arriverà a raggiungere le vette della realtà, alla volgarità suprema di «romacapitale», dei bodyguard con auricolare, ai petali di rosa lanciati dall’alto sulla nobiltà zingaresca, espressione di ciò che si architetta nei bassifondi.
Esatta la scelta del dramma da cui prende ispirazione: ai giorni nostri non si addice l’Amleto dei dilemmi, o il più desueto Machbet né tanto meno un re Lear. Il manicomio sembra essere il luogo più allusivo alla società in cui viviamo. E allora ecco che in quelle inquadrature ravvicinate su Massimo Ranieri dalle pieghe del volto che cancellano il luccichio costante delle scene possiamo avvicinarci al cuore reale della sofferenza, dalle espressioni della madre strega interpretata da Sonia Bergamasco intravvediamo i due volti della vendetta. Lo sberleffo alla società, specialità di Terry Gilliam capace di trascinarci veramente all’inferno e ritorno, in un simile rutilante sovraccarico di elementi scenografici, qui ci rassicura un po’, non sarà mai vero inferno per noi, ma sempre commedia, con i personaggi di famiglia che si sbranano.
Anche se, invece di entrare e uscire di scena dai soggiorni napoletani lanciandosi invettive, si aggirano in una reggia stracolma di chincaglierie, dove il novello Richard che da bimbo rimase vittima dei fratelli e storpio, rinchiuso in manicomio per colpa della madre provoca una metodica strage di famiglia, tra cui Silvia Calderoni a cui basta solo il lampo dello sguardo per capire che potrebbe non esserci salvezza.
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