Shakespeare a Berlino
A teatro All’Argentina di Roma «Der Park» di Botho Strauss per la regia di Peter Stein
A teatro All’Argentina di Roma «Der Park» di Botho Strauss per la regia di Peter Stein
Il parco potrebbe essere il Tiergarten. L’epoca, la metà degli anni ottanta del secolo scorso. Quando si andava a Berlino con voli di fortuna per vedere i grandi spettacoli cechoviani di Peter Stein, nella nuova Schaubühne sorta «am Lehniner Platz» sullo scheletro del vecchio cinema Universum, in fondo al Ku’damm. Qualcosa rimanda insistentemente a un luogo e a un momento precisi di un passato che si allontana, in questo complicato Der Park che Stein ha messo nuovamente in scena al teatro Argentina (domani l’ultima replica), a trent’anni di distanza dal primo allestimento berlinese di cui furono protagonisti Bruno Ganz e Jutta Lampe.
Dice il regista che il testo di Botho Strauss è un capolavoro e che ne ha mantenuto l’ambientazione originale proprio per consentire di ammirarne l’attualità. Sarà anche per questo, per un guardare al presente nostro da un tempo lontano, che vi si coglie come una sorta di futuro anteriore delle situazioni o dei personaggi di cui ricostruisce le storie. Il futuro esatto dei latini. Un futuro già compiuto, che sta davanti ai nostri occhi ma è già diventato passato, o sta per esserlo. E però entra nella struttura stessa della complessa tessitura del testo.
Botho Strauss prende in mano il Sogno di una notte di mezza estate e lo sveste della cornice mitologica; ne assume i sette personaggi principali e ne traduce la vicenda in termini contemporanei, ma per immettere gli uni e l’altra in una realtà fantasmagorica, in un fluido moltiplicarsi di immagini che sembrano generarsi l’una dall’altra. Il Sogno resta un sogno, o sarebbe meglio dire un incubo da cui non si esce, una favola nera che dispiega il suo pessimismo sul presente, il presente di allora, di cui quello attuale è solo il compimento nella visione dell’artefice.
Ecco allora che Oberon e Titania, il lunare Paolo Graziosi e una metamorfica Maddalena Crippa, sono due creature precipitate da mondi lontani in questo parco cittadino, dove hanno trovato riparo fra le fronde di un gelido roveto. Col compito di riportare un po’ di eros fra gli umani, nel senso proprio della semplice passione carnale. Lui è un vampiresco burlone che si diverte ad aprire le grandi ali del suo mantello con mosse esibizioniste sbucando fuori a sorpresa dal cespuglio. Lei è più concreta e pronta, e però anche compulsiva quando cerca di soddisfare il desiderio. Sotto il mantello niente. E il loro Puck, che qui ha nome Cyprian, è un ironico e sornione Mauro Avogadro nei panni di un vecchio artista che vive in una mansarda un po’ faustiana, dove costruisce minuscoli amuleti che sembrano avere poteri favolosi su chi li indossa. E intanto spasima pericolosamente per il giovanotto dalla pelle nera che tiene pulito il parco, su cui ha fatto qualche pensiero anche la bella Titania. Non gli porterà bene.
E poi ci sono i quattro imborghesiti amanti, vestiti di bianco come villeggianti cechoviani, che vivono in dimore affacciate sul parco di cui a momenti possiamo spiare le eleganti terrazze (sono Pia Lanciotti, Graziano Piazza, Silvia Pernarella e Gianluigi Fogacci). All’inizio presentati attraverso una serie di rapidi flash che risalgono il tempo, dall’andamento quasi pinteriano. Professionisti di successo, e non alieni dai tradimenti, come quelli di Betrayal. Ma poi coinvolti loro malgrado nel multiplo girotondo erotico, questo sì scespiriano nell’inscenare la relatività dei sentimenti amorosi, che trova epilogo beffardo nel bosco notturno.
La scena disegnata da Ferdinand Woegerbauer si fa e si disfa in continuazione, spesso lasciando sul fondo un sipario rosso semiaperto che sottolinea la teatralità dell’impianto, mentre davanti si prolunga a livello della platea con i tavolini di un bistrot. Nel parco, personaggio principale della pièce, girano musicisti punk in bicicletta che aspirerebbero a qualche violenza di gruppo ma se la danno a gambe quando vien fuori che la creatura un po’ marziana ha qualche potere segreto. E una ragazzaccia più sboccata e punk ancora, che sembra arrivata dal Bahnhof Zoo del film più o meno di quegli anni. Si incrocia una coppia di bizzosi causeur, che rappresentano i fool della situazione. E si era già assistito all’approccio di una dolorante acrobata da circo, caduta dal trapezio. Coppie, passanti – per citare un altro titolo di Botho Strauss.
Le citazioni del resto si sprecano nella partitura testuale. C’è spazio anche per il ritorno del mito, l’evocazione dell’accoppiamento bestiale di Pasifae, a rendere più estremo l’invaghimento di Titania per l’uomo trasformato in asino del modello scespiriano. E infatti ne vedremo il frutto nel dilatato finale, dove un filosofeggiante Minotauro allestisce una festa solitaria per la madre nella casa ormai vuota. E a proposito di personaggi cechoviani, viene in mente il Giardino dei ciliegi. Forse perché l’ultimo cono di luce prima del buio illumina la cameriera (Arianna Di Stefano, era prima la ragazza cattiva). Come il vecchio maggiordomo Firs, rimasto da solo nel paradiso perduto.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento