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Shadow of the Erdtree, teatro del dolore

Shadow of the Erdtree, teatro del dolore

Games Esplorazione di nuovi e sorprendenti panorami, inaspettati nemici, segreti, racconti, imprese e tesori: per PlayStation, XBox e PC

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 24 agosto 2024

Le lunghe dita unghiute di Messmer l’Impalatore, alto e sottile guerriero semidivino e rosso vestito, reggono un falso bulbo oculare che egli stesso si è cavato dall’orbita, un sigillo di grazia che la madre Marika l’Eterna gli pose ancora infante al posto di quello vero, affinché questo contenesse la serpe mostruosa e bicefala annidata negli abissi dell’anima del figlio.

Poi la metamorfosi in rettile abnorme si attua e, chi gioca, ricomincia a combattere questo nemico micidiale in un inferno turbinante di fuoco fino ad estinguerlo eventualmente, dopo innumerevoli fatiche e tentativi infruttuosi. Le gioie e i dolori delle opere di From Software e Hidetaka Miyazaki. Quel rampollo infausto maledice la madre prima di cessare la sua esistenza di massacratore, con la stessa enfasi teatrale, una retorica tragica, che contraddistingue ogni sua parola.

Questo pathos risulta inedito negli altri lavori degli autori di Dark Souls e Bloodborne, tranne che in Sekiro dove ciò che è proprio della tragedia è tuttavia di matrice giapponese e non quella che da Shakespeare è filtrata nel cinema di Akira Kurosawa, qualcosa tra i drammi del teatro «no», Dororo di Osamu Tezuka, il cinema di Takashi Miike e quello di samurai di Kenji Mizoguchi. Invece Elden Ring e soprattutto la sua immensa espansione intitolata Shadow of The Erdtree, uscita a fine giugno per PlayStation, XBox e PC, risultano al contrario patetici, e non nella fuorviante accezione contemporanea e popolare del termine, ma proprio in una maniera ellenica e del romanticismo tedesco. Si tratta di un pathos dovuto non solo all’apporto «occidentale» dello scrittore George R. R. Martin, celeberrimo autore della saga dissipata e forse dissolta de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sebbene senza dubbio alcuno il suo apporto narrativo, sempre avvolto alle fantasie nere e crudeli di Hidetaka Miyazaki, sia stato determinante.
Dal seminale Demon’s Souls al definitivo Dark Souls 3 e persino nel malato, sanguinario Bloodborne, si tratta sempre di uomini vuoti («che appoggiano l’un l’altro la testa piena di paglia») e maledetti, esseri senza anima o ridotti a mostri lovecraftiani. Non ci sono mai stati nessun sentimento o emozione nei mondi cimiteriali dei Souls e di Bloodborne, nessuna passione fino a quella loro sintesi ed evoluzione grandiosa che è stato Elden Ring con la sua coda in Shadow of the Erdtree che ci precipita (anzi ci prende letteralmente per mano, una cadaverica e disseccata) in un mondo ombroso e splendido oltre l’Interregno per vivere altre mille «morti» e trionfi.

Nulla è esangue o anemico di spirito, nemmeno nei luoghi più terrificanti e paludosi laddove si muovono esseri in grado di annichilirci all’istante con il loro urlo letale ma dove permane il rudere di una grande villa, il ricordo di vite che vi trascorrevano prima dell’orrore. L’emozione non latita mai, tanto che è la fiamma l’elemento fondamentale dell’espansione, un fuoco «che cammina sempre» con chi vaga per queste terre talvolta persino amene.

Cosa curiosa, contraddittoria e forse rivelatrice che questo patetico sentimentalismo sia proprio nell’opera che è l’insieme (e con molte probabilità la fine) di tutto ciò che è stato From Software da Demon’s Souls in poi.

E trattandosi di sentimento e della sua messa in scena narrativa, pittorica, ludica e sonora ci sono soprattutto in Shadow of the Erdtree molto dolore e sofferenza, sono ovunque anche laddove una tossica bellezza e una natura animale o vegetale lussureggiante e florida tentano di dissimularli.
C’è uno strazio diffuso nelle rovine dei villaggi arsi dalla Purga di Messmer, dove le ombre degli abitanti si muovono nell’imitazione abominevole e lacrimosa di una vita estinta; c’è nei lamenti strazianti dello sconfitto cavaliere draconico Igon che si trascina ferito urlando la sua sofferenza contro il drago Bayle e mettendo così in moto una missione secondaria straordinaria ed epica; c’è un supplizio indicibile nel corpo più volte abusato dell’un tempo eroico e poi solo più folle, marcescente Radhan. Solo l’ingannevole Miquella, soprannominato il Gentile, artefice di tutto questo orrore, sembra escluso dalle angosce in una perpetua e disumana velleità divina.

Come in tutti i così definiti «soulslike», in Shadow of the Erdtree patisce ma con piacere anche il giocatore, persino quelli più dotati e coloro che hanno già terminato il videogame principale, perché qui cambiano le regole, la potenza prima acquisita viene messa in crisi con la solita magistrale ed educativa crudeltà di severo ma giusto maestro da Hidetaka Miyazaki.

È necessario potenziarsi oltre la forza acquisita dapprima, sapersi adattare per non estinguersi contro nemici che parrebbero insormontabili, persino ingiusti con la loro difficoltà, in grado di annientare chiunque con un solo attacco. Tuttavia non si tratta di un videogioco frustrante, quelli di From Software non lo sono mai, malgrado siano ostici in una maniera innegabile, ed Elden Ring è tra tutti quanti quello che concede a chi vi interagisce più possibilità di «sconfiggerlo» in base al proprio modo di giocare. È vero, bisogna adeguarsi per non perire in Shadow of the Erdtree, accettare un cambiamento, ma nelle Terre dell’Ombra dove questo si svolge c’è ogni arma, scudo, incanto, armatura e risorsa per aiutare chiunque a battere ogni sua difficoltà come preferisce, è sufficiente volerli cercare, viaggiando in lungo e largo per queste vaste terre magnifiche e orribili, un’esplorazione che appaga sempre rivelando nuovi e sorprendenti panorami, inaspettati nemici, segreti, racconti, imprese e tesori.

Quasi un videogioco nuovo per mole e qualità (ci vogliono oltre quaranta ore per completarlo) più che una espansione di Elden Ring, Shadow of the Erdtree è un esempio lodevole di come vadano pensati e sviluppati questi talvolta criticabili contenuti aggiuntivi a pagamento che spesso non aggiungono nulla al gioco di base o solo materia accessoria, troppo sintetica e insignificante.

Cala quindi, con il finale ermetico di Shadow of the Erdtree, la notte anche sullo smisurato e patetico Elden Ring, un videogioco che ha avuto e continua ad avere anche il merito di essere stato motore di convinzione per tanti neofiti e appassionarli così all’opera di From Software e Hidetaka Miyazaki, un grande pubblico molto spesso spaventato dalla critica di settore o dai soliti «veri gamer» abituati a fare il cosiddetto «gatekeeping» di fronte a ciò che credono sia esclusivo della loro nicchia.

Federico Ercole

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Il Logos di Elden Ring, illogico universo
di Giulia Martino

Nel primo versetto del suo vangelo, Giovanni scrive che «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio». Giovanni si considera chiamato da Dio a «render testimonianza alla luce» (Giovanni I, 8). Il suo vangelo nasce come atto di comunicazione della volontà di un Dio che si fa carne per coltivare il suo giardino terrestre; in Elden Ring, e in particolare nel suo DLC Shadow of the Erdtree, le potenze divine (chiamate «divinità esterne») sono silenziose e lontanissime, e hanno da tempo interrotto ogni comunicazione con il mondo.

Percorrendo le lande di Elden Ring, si comprende come un ruolo fondamentale nello sviluppo delle civiltà qui presenti sia stato giocato da entità venute dallo spazio – funghi compresi. La marcescenza scarlatta è un fungo in grado di permeare con la sua presenza paesaggi, corpi e menti. Soltanto un oggetto è in grado di «scongiurare intromissioni di divinità esterne» come la marcescenza, come si legge nella sua descrizione: è l’Ago d’oro puro, in grado di cambiare le sorti del finale del gioco, nel caso in cui il giocatore venga in contatto con le misteriose Tre Dita, portatrici di follia.

La storia di Elden Ring è un avvicendarsi di popoli, civiltà, divinità. È la storia di come dalla morte riesca a risorgere la vita. Pochi territori di Elden Ring, però, sono in stasi come la Terra delle Ombre, ambientazione del contenuto aggiuntivo (di notevole durata: per il suo completamento è necessario spendere circa una quarantina di ore). Ecco che Shadow of the Erdtree narra l’interruzione di una gravidanza – che è una potentissima forma di comunicazione di sé a un nuovo essere vivente: la Madre delle Dita, Metyr, celata sotto le Terre dell’Ombra, è stata gravemente ferita al ventre, e ora non riesce più a partorire le entità in grado di comunicare con la divina Volontà Superiore, chiamate Due Dita. FromSoftware parla una volta in più di fine dei tempi e di stagnazione, e lo fa soprattutto tramite una madre che non riesce a essere più tale.

Nel suo memorabile Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo (edito in Italia da Keller, 2021), l’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing riporta la vox populi secondo cui la prima forma di vita nata a Hiroshima in seguito al bombardamento nucleare sia stata un fungo matsutake. Nelle Rovine delle Dita, piene di Dita defunte – e, quindi, non in grado di svolgere la loro funzione principale: comunicare – nascono dei funghi descritti come «i nati morti delle Due Dita». Proprio come le Due Dita, hanno una forte somiglianza con il fungo ascomicete saprofita Xylaria polymorpha, soprannominato nella cultura popolare «dita del morto» per la forma dei suoi carpofori e per il loro colore nerastro. E, proprio come in Elden Ring, i funghi sono proposti come simbolo per eccellenza di ostinazione: dove nulla riesce a nascere, troveremo, sempre e immancabilmente, dei funghi.

Dell’esigenza di rinascita si fa portatore un uomo desideroso di diventare una madre. È il Conte Ymir, forse il personaggio non giocante più significativo nel tessuto narrativo del DLC Shadow of the Erdtree. Seduto su uno scranno in una cattedrale deserta, il Conte afferma: «Abbiamo tutti bisogno di una madre, non è vero? Una nuova madre, una vera madre, una che non darà la vita ad altri malanni». Ymir chiede alle stelle di garantirgli «la forza di una madre». Ed è la madre divina, Marika, che il conte riconosce colpevole del declino del mondo: «La colpa… è della madre, puramente e semplicemente». Una frase che potrebbe benissimo provenire da uno studio criminologico degli anni ’50-’60 del Novecento sul ruolo della figura materna nella formazione dell’identità deviante.

Le trame di Elden Ring e del suo contenuto aggiuntivo Shadow of the Erdtree restano efficacissime nel trasmettere un messaggio ben preciso: non per ogni problema esiste una soluzione. Alcuni misteri resteranno per sempre tali. Shadow of the Erdtree ha certamente moltiplicato le domande – scontentando parte della community – ma ha anche permesso ai giocatori di concentrarsi sugli aspetti fondanti del gioco – tra cui il disperato tentativo di comunicazione tra umano e divino, e il terribile, paradossale silenzio che si trova nel Verbo di cui scriveva Giovanni. In questa mancanza di linearità, in questa assenza di una strada maestra per l’interpretazione risiede la parte più preziosa dell’opera di FromSoftware: quella capace di sfuggire alle rigide leggi della matematica videoludica.

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