Mustafa ha 17 anni. Da quando, tre anni fa, è scoppiato il conflitto in Iraq, si è separato dalla famiglia e ha cominciato un lungo viaggio per trovare un paese sicuro, libero dalla guerra. Ha chiesto asilo 50 volte ma senza successo. Di recente ha provato ad attraversare il confine tra la Bosnia e la Croazia: la polizia lo ha picchiato, torturato e fulminato fino a quando è svenuto. Quella di Mustafa non è l’unica storia di teenager che tentano di attraversare i confini europei lontani dalle famiglie.

La sua storia, come quella di altri ragazze e ragazzi fuggiti da Siria, Sudan, Iraq e Afghanistan, sono raccolte nel progetto trans-mediale Shadow game, un documentario che ha trionfato all’ultima edizione dell’International Film Festival and Forum on Human Rights (FIFDH) di Ginevra, composto da una serie di corti, una raccolta di foto, un videogioco in cui vengono simulate le difficoltà della migrazione di un minorenne.

Il gioco, in fase di sviluppo, vede protagonista un rifugiato che scappa da situazioni di guerra o estrema povertà, e si ritrova a dover fronteggiare l’opposizione della polizia al confine. Un passaggio di frontiera che viene guardacaso chiamato «The Game» ma di virtuale e ludico c’è ben poco. Eefje Blankevoort, co-regista del documentario assieme a Els van Driel – racconta che «le prime immagini sono state girate a Ventimiglia, al confine tra Francia e Italia», dove hanno incontrato un gruppo di ragazzi sudanesi che tentavano il passaggio. «Siamo rimasti in contatto con loro – prosegue Els – per capire come proseguisse il loro viaggio».

E, infatti, Shadow Game non si ferma solo al racconto della dura realtà dell’attraversamento. Racconta Els: «Abbiamo voluto seguire il processo di arrivo dei giovani rifugiati nelle nazioni europee e le loro parabole di integrazione. A volte le loro aspirazioni sono state bloccate da processi macchinosi di asilo politico, in altri casi i migranti hanno potuto coronare i loro sogni». Come il 22 Mo, proveniente dalla Siria. «Amavo il colore rosa ma in Siria era vietato indossarlo. In Olanda ho potuto vivere sentendomi me stesso», racconta nella didascalia di una della serie di foto del progetto. Ora Mo frequenta l’Amsterdam Fashion Institute e può indossare con orgoglio il suo colore preferito. Alla giovane Meron, ventenne, invece, arrivata in Olanda dall’Eritrea manca la madre. Ha dovuto lasciarla nel paese africano che la ragazza identifica con il colore giallo. È una fan di Beyoncé che le ha dato la forza di rifarsi una vita: «Quando mi vesto bene, sistemo i capelli e curo il make-up, acquisisco molta più autostima. Così penso di essere bellissima come Queen B».

Il viaggio di Abdulaal è stato segnato dalla musica. Ricorda a memoria tutti gli inni nazionali di ogni paese che ha dovuto attraversare: partito a diciassette anni, senza familiari, dal Sudan, è poi approdato in Eritrea, Libia, Marocco, Germania, Francia per poi finalmente stabilirsi nei Paesi Bassi. I versi del rap afgano sono le fiammelle che tengono accese la speranza di Amin. Non è ancora riuscito a ottenere l’asilo politico. «Vedo tutto nero. Mi sento come se la mia morte si stesse avvicinando. Trovo speranza solo ascoltando la canzone Champion di Carrie Underwood». «Sono invincibile, indistruttibile, inarrestabile, irremovibile», canta nel ritornello la Underwood e le sue parole di orgoglio e coraggio alimentano la tenacia di chi, come Amin deve trovare una casa dove ricominciare una vita. Lontano dai talebani che hanno il preso il potere in Afghanistan privando i giovani della musica. Shadow Game fa risuonare voci, trame e aspirazioni di ragazze e ragazzi che in Europa cercano pace e speranza.

E lancia, tramite un manifesto, un appello alle istituzioni: «I bambini devono poter presentare domanda di asilo in modo sicuro. I minorenni che raggiungono l’Europa attraverso l’Italia o la Grecia devono essere portati in altri paesi europei in modo che non debbano continuare il pericoloso viaggio da soli. Non ci dovrebbe essere violenza contro i bambini alle frontiere in Europa.