Cultura

Sgorgano i racconti dalle rinascite di un Borgo raro

Sgorgano i racconti  dalle rinascite di un Borgo raroCivita di Bagnoregio

NARRAZIONI «Civita senza aggettivazioni e altre specificazioni», di Giovanni Attili per Quodlibet

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 12 giugno 2021

«È più miracolato che cosa vera, è più leggenda che realtà. Il suo nome è antico e semplice: Civita, senza aggettivi e senza altre specificazioni». Così recita la scritta calligrafica sulla prima foto del libro di Giovanni Attili (Civita, senza aggettivi e senza altre specificazioni, prefazione di Giorgio Agamben, Quodlibet, pp. 400, euro 32), che ritrae il Borgo nel 1874. Dice tutto dello stupore di chi si avvicinava a quel centro. Negli anni 60, come in un quadro del Poussin, l’acrocoro abitato sembrava un paesaggio d’invenzione; invece lo si raggiungeva con un ponticello, come un’illustrazione di una fiaba. Articolato in tre parti, in successione temporale, il libro amplia l’esperienza diretta di un paese superstite di una storia geologica e umana squadernata, con una magnificenza di dati e testimonianze che evita la delusione di un ritorno al vero e ai suoi souvenir.

NELLA PRIMA PARTE, il dato geologico s’inviluppa nella cronaca dei disastri. Nel 1695 «un terremoto così gagliardo che diroccò quasi affatto tutta la città» sancisce l’inizio del declino di Civita, per parti «inghiottita, sparita nel nulla». La «Città dal passato superbo, custode gelosa della sua supremazia morale e di comando, è costretta a rinunciare al suo primato storico e religioso». E comincia il romanzo contemporaneo. Il suo nome si fa più aderente all’etimo latino: è la civitas resistente che non se ne vuole andare nemmeno quando crolla il ponte che aveva rimpiazzato la strada di accesso, sprofondata nel 1922.

A QUESTO PUNTO la storia sgorga dai racconti. «A quei tempi» c’era miseria e anche felicità, gli equilibrismi sul ponte rotto, la luna che regolava le nascite. Il racconto è denso di vita, di lavoro di campagna, di fame e fatica smorzate dal canto. Una composizione di una pastorale che procura, in chi legge, non poca «misurata contentezza».
La seconda parte è una «storia che si nutre di una serie di straordinarie casualità». Astra Zarina è la figura centrale della rinascita che comincia quando l’abbandono del Borgo sembra inarrestabile, le casualità sono tante e avvincenti: il viaggio da New York, la lettera di Berenson su un itinerario tra Montefiascone e Viterbo, dove l’incantevole Civita è suggerita senza nominarla. La pioggia che all’improvviso fa trovare ad Astra la casa da abitare. Il suo fascino e talento rendono il paese unico e speciale. Le foto la mostrano in abiti originali, e il volto espressivo, pieno di vita.

DI ASTRA, architetto e professore di allieve/i da università statunitensi, l’autore fa un accurato rendiconto: un lavoro che «rimette virtuosamente in circolo una conoscenza prodotta in maniera collaborativa e non predatoria», guidato dalla «rivoluzionaria idea di abbandonare l’ossessione per il nuovo a favore di una risemantizzazione dell’esistente», di un recupero delle tracce fisiche e rituali di pratiche antiche, svolto con la comunità di cui entra a far parte.
«Astra si muove all’interno di un campo di riattivazione poetica», in presa diretta. Lontano dalla dimensione del postmoderno che trasforma tutto in simulacro, e che segna il terzo tempo del romanzo di Civita, quando subentra la bulimia turistica.

L’AUTORE SVOLGE sui numeri di visitatori – un milione nel 2019, su una popolazione di dieci persone – una riflessione importante sul feticismo istillato dal «mercato contraffatto della storia» che genera desiderio attraverso l’iconizzazione spettacolare. Sul congelamento dell’architettura, dei residenti, dell’immagine sterilizzata di un «quadro vivente». La parodia della storia, avendo estromesso il divenire, rende questo raro Borgo, come tutte le città turistificate, merce da consumare, in fretta.
Un epilogo pensante di un romanzo con molti punti fermi per rispondere alla domanda di Agamben in prefazione: che cosa significa abitare?

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