Sgambetto renziano, ma Orlando va avanti
Oggi l’ultimo atto al senato sulla riforma del processo penale. Una legge che non piace ma che deve andare avanti con i suoi difetti su intercettazioni, ospedali psichiatrici giudiziari e avocazione delle indagini. Sul finale il fuoco amico del Pd contro il ministro, pensando alle primarie
Oggi l’ultimo atto al senato sulla riforma del processo penale. Una legge che non piace ma che deve andare avanti con i suoi difetti su intercettazioni, ospedali psichiatrici giudiziari e avocazione delle indagini. Sul finale il fuoco amico del Pd contro il ministro, pensando alle primarie
«Questa legge è una bandierina per il ministro della giustizia, non posso votarla neanche con la fiducia». È assai raro sentire un relatore parlare così del provvedimento che ha seguito, ieri sera in aula al senato lo ha fatto Felice Casson. Scelto come relatore del disegno di legge di riforma del processo penale quando era nel Pd, è adesso nel gruppo dei democratici e progressisti che dal Pd sono venuti fuori. Le sue critiche «tecniche» vengono condivise dal resto degli «scissionisti», non la sua scelta di non partecipare al voto: il gruppo non farà mancare il suo sostegno al governo. E al ministro Orlando, che certamente si avvantaggerà dall’essere riuscito a condurre in porto la sua riforma, dopo un’attesa di due anni e tre mesi (più del tempo che è servito ad approvare in parlamento la riforma costituzionale) proprio a ridosso delle primarie Pd. La legge deve comunque tornare alla camera, ma stamattina supererà lo scoglio del senato grazie a quella fiducia che Renzi non aveva mai voluto mettere sulla giustizia. Non a caso gli unici ostacoli ad Orlando ieri sono arrivati dai senatori renziani.
Come previsto la ministra per i rapporti con il parlamento Finocchiaro ha posto la fiducia sul disegno di legge che riforma sia il codice penale (la prescrizione) che il codice di procedura penale (le impugnazioni) e di cui si erano perse le tracce in commissione dal settembre 2016. Aggiungendo qualche piccola novità nel maxi emendamento e una più grande in un emendamento che punta a dimezzare la spesa delle procure per le intercettazioni, approvato dalla commissione giustizia al costo però di ignorare il parere della commissione bilancio. Presieduta dal renzianissimo Tonini, la quinta commissione aveva infatti messo come condizione al suo via libera che il futuro decreto interministeriale che materialmente dovrà realizzare i risparmi passi per le sue stanze, trattandosi di una norma dal notevole impatto finanziario. Qualcosa di non gradito al ministro Orlando, che sui tempi della delega per le intercettazioni vuole al contrario accelerare, anche perché questo è il patto stretto con Alfano per ottenere la non belligeranza di Ncd. Infatti Orlando eserciterà la delega che dovrà stringere le maglie delle intercettazioni – soprattutto sul versante della pubblicazione del loro contenuto – non più entro un anno dall’approvazione definitiva della riforma, ma entro soli tre mesi. In più ha ottenuto di ridurre (da due mesi a 45 giorni) il tempo a disposizione delle commissioni parlamentari per esprimere il parere sui decreti delegati. Tutto perché la riforma prenda concretezza entro l’autunno, prima della sessione di bilancio che sarà l’ultimo atto della legislatura. L’insistenza di Tonini in aula, i suoi buoni argomenti e la volontà di Orlando di non irritare i senatori in vista del voto di fiducia, hanno portato il governo a fare retromarcia. La commissione bilancio potrà ficcare il naso nel decreto sui costi delle intercettazioni ma, sia chiaro – ha detto il viceministro all’economia Morando – si tratterà solo di un parere consultivo, non vincolante. Come quello della commissione giustizia sul resto dei decreti delegati (intercettazioni, ma anche ordinamento penitenziario) del resto.
Non è stato possibile toccare nulla, la legge è un fragile equilibrio. Restano i problemi sull’avocazione delle indagini da parte dei pg in caso di inerzia di tre mesi delle procure (contraria Anm e diversi esponenti della maggioranza, ma è un punto strappato da Alfano), resta la mediazione sulla prescrizione (allungata di poco, per Casson «un pannicello caldo», per il ministro Ncd Costa è anche troppo), resta soprattutto la norma sulle Rems che somiglia a un ritorno agli ospedali psichiatrici giudiziari, da poco definitivamente superati e che raccoglie ostilità sia nel Pd (è intervenuta la senatrice De Biasi) sia in Mdp (è intervenuta la senatrice Dirindin, che però anche lei voterà la fiducia). Non sarà una fiducia esaltante, ma una fiducia inevitabile per i partiti aggrappati al governo Gentiloni. Passerà grazie alle assenze di chi è contrario alla legge (in Forza Italia, nel gruppo di Verdini e persino in quello di Alfano) ma ancor di più è contrario alla crisi. I sì dovrebbero fermarsi sotto quota 150, al senato la soglia più bassa del consenso (calante) al governo. Andrà meglio nel pomeriggio con la conta sul ministro Lotti.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento