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Sfera e il decreto sicurezza

Sfera Ebbasta in concerto a Torino foto Getty ImagesSfera Ebbasta – Getty Images

Costume Il più famoso dei nostri trapper e il suo ultimo disco guidano ogni classifica. Sono gli opinionisti che più lo detestano a trasformare le sue fantasie iperrealiste in una perfetta descrizione del mondo

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 30 novembre 2023
 «Giuro che non tornerò povero come prima» canta Sfera Ebbasta, il più famoso dei nostri trapper a quasi trent’anni e un figlio appena nato che ha messo sulla copertina del nuovo album X2VR, però di spalle (l’aveva già fatto l’anno scorso il suo collega americano Kendrick Lamar). La povertà e l’odio social verso chi ha successo, la paternità e le promesse di riscatto fatte alla mamma, la vita borderline nei palazzoni delle popolari, i «diecimila, centomila» contati nella stessa canzone Milano bene, sono i temi ripetuti con poche variazioni. Per chi viene dal fondo la scalata sociale è una macchina che non tollera incertezze: il sesso vale quanto il Crispy McBacon che vale quanto «600 cavalli sulla tangenziale». Genera semmai solitudine e paranoia, come a volte capita ai concorrenti dei reality o ai politici da talk show.
Nel giorno in cui è stato caricato su Spotify, X2VR ha fatto 18,3 milioni di ascolti in streaming, record assoluto per quanto Sfera e Spotify siano fatti praticamente della stessa pasta e la cifra abbia un’evidente funzione autopromozionale. Questa settimana l’album e i singoli sono primi in ogni genere di classifica, comprese le visualizzazioni di youtube. I ragazzini amano Sfera Ebbasta. E lo odiano: «’sto successo mi spezzerà il cuore, lo renderà fragile, fragile», si lamenta lui – Gionata Boschetti che viene da Cinisello, anzi di Cinisello è il re. «Stiamo svegli tutta la notte per ’ste banconote» continua sopra il ping pong delle basi fatte al computer. Sembra di sentire la sua voce spegnersi sulla pelle dei sedili di un G63, il Suv da 200mila euro che dà il titolo a un’altra canzone. Domina tutto un colore grigio tendente al nero, la pioggia, il cielo di Milano, malinconia feroce che confina con l’incertezza del domani.
Dieci anni fa il filosofo Mark Fisher ci aveva spiegato che l’immaginario hip-hop rappresentava in generale la bipolarità del tardo capitalismo, l’alternarsi di depressione e euforia causata dall’ideologia secondo cui ognuno sarebbe responsabile della propria miseria così come del proprio successo. Le letture sociologiche sono talvolta affascinanti, ma non dicono tutto. Non dicono se il disco è bello o brutto, per esempio. Il problema non è spiegare la trap a chi ha figli e nipoti. Non si tratta di convincere del contrario chi legittimamente pensa che la trap sia una truffa di ragazzini i quali non sanno cantare né comportarsi in società. O chi pensa che sarebbe meglio vietarla, non si capisce bene come. È la trap che ci spiega benissimo da sola come stanno le cose.
In Anche Stasera, una delle canzoni dell’album, Sfera Ebbasta esibisce un romanticismo maschile distruttivo e di maniera: «Tu mi mandi fuori di testa/ A duecento sopra ad un Carrera/ Dimmi che sei sincera/ Per te vado in galera».
Nel ritornello Elodie concede: «Quando scopiamo sai che ti amo per davvero per davvero». La presenza di una della poche figure femminili accettate in questo mondo, nuova icona pop, bersaglio degli haters per una certa audacia erotico/politica, svela da sola la posta in gioco: la paura del rifiuto e, a pensarci bene, la paura (paradossale) delle parole da dirsi. Gioco da maschi etero in fuga, circospetto fino alla paranoia, misogino come nelle saghe di mafia stile Gomorra. Con tutte le sue bitches, conquistate a centinaia col cash e le borsette dai piccoli don Giovanni a Rogoredo, è il rovescio esatto dell’incubo incel o quasi incel: i bianchi brutti piccolo borghesi impoveriti di mezza età spaventati a morte dalle donne in generale.
Non è una caricatura. Chi la scorsa settimana ha avuto lo stomaco di seguire il dibattito social-televisivo seguito alla morte di Giulia Cecchettin sa di cosa stiamo parlando. Arnesi retorici come il rovesciamento del flusso d’odio dagli uomini alle donne, infanticidio contro femminicidio, i numeri delle statistiche ripetuti come un mantra, i titoli di Libero e Giornale, destra montanelliana e alt-right: gli opinionisti di destra giocano non da oggi su un subdolo corteggiamento delle subculture incel e della cosiddetta manosphere. La colpa non è della trap, ma di chi ha fatto diventare le fantasie iperrealiste sottoproletarie di Lamborghini e pistole una descrizione del mondo che ci circonda.
Non appartengono alla stessa trama narrativa anche gli ultimi decreti sicurezza del governo? Le zingarelle borseggiatrici sulla metropolitana, le truffe agli anziani, i blocchi stradali, le pistole alle guardie anche se fuori servizio. Si è detto che ricalcano esattamente le scalette di certi infiniti talk show pomeridiani e serali, ed è così. La dimensione ideologica dell’odio per i poveri che li anima, aporofobia secondo l’espressione della sociologa spagnola Adela Cortina, ci trascina dritti ancora nel mondo di Sfera Ebbasta e dei suoi amici.
«Giuro che non tornerò povero come prima», canta lui. Se perfino i ragazzini delle scuole elementari e dei quartieri per bene si appassionano alle storie tutte uguali dei nostri Scarface di periferia, se stanno dalla loro parte “sbagliata” è perché quel mondo non è reale, ma più vero del vero.
X2, ha osservato qualcuno, è il disco col maggior numero di criminali nella storia della canzone italiana, coi featuring di Baby Gang, Simba La Rue, di famiglia rispettivamente marocchina e tunisina, appena condannati a sei anni per una rissa con pistolettate nel centro di Milano. E Shiva, milanese, arrestato per tentato omicidio e attualmente a San Vittore in attesa di giudizio per aver reagito a colpi di pistola a un aggressione nel cortile della sua produzione discografica. Ai tempi del rock’n’roll i fuorilegge esercitavano il loro fascino, ci sembravano gli eroi di un western, le figure di un morality play brechtiano. Oggi molto meno. Ma la dimensione centrale, egemonica, che la trap ha assunto nella cultura popolare svela l’inganno della destra securitaria, libera i fantasmi dell’«insicurezza percepita», è un tutti contro tutti.
Confrontandosi con le incertezze della fama in epoca social, Sfera svela infine le sue malinconie più nere: «Ti amano finché sei povero/ fai due soldi in più di loro e non approvano/ Popolare, però non sei più del popolo/ Solo perché ce l’hai fatta un po’ ti odiano», riflette in 15. Metà delle rime dei suoi colleghi americani, Kendrick Lamar o Travis Scott, già raccontano questa distanza tra il pop e il popolare, la tentazione da adulti cresciuti di uscire dal gioco, la vittimizzazione nei confronti dell’esercizio della cancel culture come strumento democratico. Svelano allo stesso tempo una confusa ma indelebile appartenenza di classe, nel tempo della forbice sociale allargata, nel naufragio di ogni altra mediazione politica e sociale.

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