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Seun Kuti, ritmo e amore per la liberazione

Seun Kuti, ritmo e amore per la liberazioneSeun Kuti al Fano jazz by the sea – foto di Chiara Broccoli

Musica Al Fano Jazz By The Sea il concerto del figlio del grande Fela. «Grazie mille, non parlo italiano, una lingua coloniale mi basta» dice sul palco

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 agosto 2023

Fano jazz by the sea quest’anno, con il concerto di Seun Kuti and Egypt 80, si è superato. Una serata all’insegna dell’afrobeat con le sonorità yoruba che si intrecciano con il ritmo di sassofoni, basso e chitarra dando vita «alla più infernale macchina ritmica dell’Africa tropicale» come l’aveva definita Fela Kuti, padre di Seun.

LA CHITARRA elettrica di Benhallak Mohammed Chérif Anis imprime il ritmo che solo la danza sfrenata delle coriste Balogun Cynthia Abimbola e Iyabo Folashade Adeniran, riesce a seguire. Seun Kuti si muove a suo volta senza sosta, ogni tanto riprende fiato parlando di capitalismo, rivoluzione, di unità, ma «grazie mille, non parlo italiano una lingua coloniale mi basta». Poi canta: «Vuole amore e rivoluzione, non vuole accessori di moda». Spiega: «Ho scritto questa canzone pensando a mia moglie, cercavo un testo che ritraesse l’amore dal punto di vista delle idee rivoluzionarie e della liberazione dei neri. Fondamentalmente perché molte persone in tutto il mondo oggi vedono l’amore solo come questo ideale di romanticismo che ci è stato venduto attraverso la musica e i film ormai da generazioni. Quindi le persone vedono l’amore solo come parole gentili e doni materiali. Invece, con mia moglie stiamo cercando di vedere come due persone che si uniscono possono rendere il mondo un posto migliore. Non solo perché vogliamo dirci cose carine e andare in vacanza a comprare rose e tutto il resto. Ma sperimentare davvero la vita dalla prospettiva della nostra relazione e vedere noi stessi come un riflesso di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nel mondo e aggiustare noi stessi, per aggiustare il mondo».
Ogni canzone ha uno sfondo politico impegnativo: Move ricorda la schiavitù, «gli antenati che hanno pregato per noi, lodato e gridato, la nostalgia di uno schiavo, muoviti nei boschi con vigore. Quando siamo stati liberi, il mondo si è mosso con noi». In omaggio al padre canta Kalakuta boy dal nome della comune fondata da Fela Kuti e distrutta da un’incursione dell’esercito nel 1977, ma che Seun attualizza ricordano quanto successo con la campagna del 2020 contro la Sars nigeriana (Special Anti-Robbery Squad), reparto speciale della polizia accusato di brutalità e violenze.

CE N’È anche per le religioni con Emi Aluta: «Affermano di venire in Africa per sbarazzarsi di tutte queste cose malvagie che facciamo. Quindi ogni volta che vai in qualsiasi chiesa in Africa, scacciano i demoni. Ma non ho mai visto questi imam e preti chiamare nessuno dei politici che sono proprio lì nella loro assemblea per le chiedergli conto delle cose malvagie che fanno». Il finale è Imf (International Mother Fucker), riprendendo l’acronimo del Fondo Monetario Internazionale: «Non vediamo mai nessun aiuto, Tu porti sofferenza, Tu porti lacrime, Madre internazionale, chiudi la bocca».

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