Duttile, pertanto in grado di prestarsi a infinite trasformazioni una volta riscaldata e colata in stampi, e mutabile nel colore se miscelata con pigmenti ancora in stato di fusione, la cera ha una potenzialità mimetica come nessun’altra materia. Lo si percepisce davanti alle note riproduzioni di personaggi esposte nelle varie sedi del Madame Tussaud, poiché solo la cera, con la sua naturale oleosità, ha oltretutto la dote di poter imitare le superfici lucenti dell’epidermide.
Come osservava già Julius von Schlosser nella sua pionieristica Storia del ritratto in cera, edita nel 1911 (nel 2011 due ed. italiane, Quodlibet e Officina Libraria), nella Bologna di metà Settecento si assistette a uno straordinario recupero di questa sostanza per la creazione di effigi, in parallelo con altri usi figurativi. Negli stessi anni, infatti, tale materia si impiegava in città anche per immagini devozionali e per un fine più strettamente didattico-scientifico, ovvero il confezionamento di organi umani da esporre nelle aule universitarie, in alternativa ai cadaveri reali. Con la sua peculiare lucidità, non meno paragonabile a quella dei tessuti corporei interni, essa si rivelava perfetta per simili applicazioni legate all’ambito medico. È significativo che, al tempo, lo Studium bolognese stesse conoscendo una fioritura in questo campo di ricerca grazie al’’interesse di papa Benedetto XIV, cui si deve anche il finanziamento nel 1742 di una serie di preparati in cera per la Camera Anatomica dell’Istituto delle Scienze. Sotto la direzione del plasticatore Ercole Lelli, questa impresa fu condotta a termine nel corso di un decennio, entro il 1751, vedendo coinvolti maestri come Filippo Scandellari, i coniugi Giovanni Manzolini e Anna Morandi, Luigi Dardani. Nomi poco noti al grande pubblico, essi furono pure i principali artisti a dedicarsi alla ritrattistica in cera, perseguendo sin dalle prime prove la stessa verisimiglianza alla base della produzione anatomica.
Su tutti questi temi è incentrata una mostra in corso a Bologna, fino al 12 marzo 2023, nei musei di Palazzo Davia Bargellini e di Palazzo Poggi, sedi inevitabili per la narrazione di questo momento, per lungo tempo negletto, della storia figurativa felsinea. Il primo edificio, adibito dagli inizi del Novecento a luogo espostivo delle arti decorative grazie alla volontà di Francesco Malaguzzi Valeri, custodisce infatti alcuni notevoli oggetti in cera raccolti dal fondatore del museo, mentre il secondo, in quanto ospitante l’antico Istituto delle Scienze, conserva tutta la collezione di preparati commissionati da papa Lambertini. Il Museo Davia Bargellini, oltre ai pezzi delle sue raccolte, si popola in questa occasione anche di prestiti, soprattutto da collezioni private, che entro quella sontuosa cornice di gusto settecentesco sembrano tornare all’epoca in cui furono ideati.
Curata da Massimo Medica, Mark Gregory D’Apuzzo, Ilaria Bianchi e Irene Graziani, la rassegna, dal titolo Verità e illusione Figure in cera del Settecento bolognese, costituisce, comunque, un evento eccezionale sotto più punti di vista. Per la prima volta questo settore, che rappresentò per Bologna uno dei tanti primati in ambito artistico, è al centro di una mostra, sorretta da un impegno scientifico non comune.
Nuove ricerche, che continuano su una strada tracciata dagli studi fondamentali di Andrea Emiliani, Eugenio Riccòmini, Stefano Tumidei e Andrea Daninos, sono alla base dell’iniziativa, che è stata pure occasione per il restauro di alcuni oggetti: due rari quadretti con figure allegoriche del tedesco Caspar Bernhard Hardy e un ovale con profilo femminile di scuola francese presso il Davia Bargellini, e le figure dei santi Filippo Neri e Carlo Borromeo provenienti da Santa Maria di Galliera, creazioni di Dardani.
Si deve precisare che la maggior parte delle opere in mostra comprende busti in scala naturale. Sempre concepiti per essere inseriti all’interno di teche lignee, questi simulacri si presentano vestiti con abiti reali, in velluto e pizzi, dotati di parrucche, generalmente confezionate con capelli umani, e di occhi in vetro ma non meno naturalistici. Tra questi meritano una menzione particolare i busti dei coniugi Manzolini a Palazzo Poggi, opera della stessa moglie Anna Morandi, che sono raffigurati nella loro mansione quotidiana di anatomisti, alle prese con dissezioni di organi umani. Con quello sguardo fiero, l’autoritratto della Morandi Manzolini, persona di scienza, è senza dubbio uno degli esemplari più intensi di questa produzione, capace di competere con le migliori effigi dipinte da Luigi Crespi.
Non sono meno evocativi, però, il volto livido e mesto del padre filippino Ercole Isolani o quello roseo e ridente di Anna Maria Calegari Zucchini, donna morta all’epoca in odore di santità, entrambi capolavori, invece, di Scandellari e al momento esposti al Davia Bargellini. Come nei due consorti, non solo ai sembianti, ma anche alle mani è affidato il dono dell’eloquenza. Se nei primi queste sono impegnate a sezionare parti di cadavere, nell’Isolani le mani sono tese a stringere un rosario, annodato tra le dita rugose, e nella Calegari Zucchini sono giunte in preghiera, con un’energia amplificata dallo sguardo pio volto verso l’alto.
Sensazione di stupore e turbamento sono alcune delle emozioni che hanno sempre stimolato questi oggetti, visti come simulacri più che fedeli delle persone effigiate, quasi capaci di prendere parola o di destarsi dal loro stato di immobilità. Immagini al confine tra la vita e la morte, questi ritratti testimoniano ancora una delle espressioni più originali dell’arte bolognese, un segmento della sua storia che con questa mostra esce finalmente dall’oscurità cui era stato condannato dal tempo.