Sette arresti e per cosa? Deve essere successo proprio qualcosa di brutto. Roba pesante. Sette arresti per i “fatti” del 6 maggio scorso, si dice quando comincia a girare la notizia. Non è che la memoria fa difetto, sono passate poche settimane, è che quel giorno, a conti fatti, di memorabile c’è stata solo una scomposta irruzione dei reparti anti sommossa della polizia per caricare un gruppo di studenti dentro l’università Statale di Milano. Un’immagine che solo per restare sul simbolico crea un precedente davvero poco carino. Erano anni (e che anni) che in città non succedeva una cosa del genere, con la polizia chiamata addirittura dal rettore Luca Vago per allontanare un gruppo di studenti che stava protestando per lo sgombero della ex libreria Cuem, occupata da più di un anno. E’ finita come al solito: cariche, feriti più o meno certificati, lancio di oggetti, transenne che volano, cortei di protesta e poi il ritorno degli studenti nello stesso spazio, tanto per dire dell’inutilità dell’allarme lanciato dal rettore.

Eppure non è finita qui, se è vero che sette persone ieri sono state raggiunte da altrettanti ordini di custodia cautelare ai domiciliari. Le accuse sono pesanti. Si parla di resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento, lesioni aggravate, travisamento, porto di oggetti atti ad offendere e istigazione a delinquere. Gli arrestati, come si dice in questi casi per agitare lo spauracchio, sarebbero tutti appartenenti a una non meglio precisata “area anarchica”. Insomma, sono provvedimenti mirati, arresti chirurgici, la dimostrazione che la polizia questa volta se l’è legata al dito. Inoltre, ci sono altre trentadue persone deferite a vario titolo dagli agenti della Digos, che conoscono tutti uno per uno. Si chiama repressione, l’ennesimo episodio che sembra lasciare poche tracce e che invece dice molto sull’aria che tira nella città laboratorio del peggio che ci aspetta.

“Sicuramente non basterà qualche misura cautelare a fermare il crescente dissenso”, scrive MilanoInMovimento, una delle antenne militanti che meglio funzionano da queste parti. “Oggi – prosegue la nota – arrivano le vendette della polizia, probabilmente ancora scottata dalla figuraccia nazionale fatta quel giorno, quando le immagini dei manganelli sugli studenti sono state viste in tutta Italia, oppure per dare un segnale viste le recenti occupazioni che non accennano a fermarsi. Sicuramente non basterà qualche misura cautelare a fermare il crescente dissenso che la crisi sta creando e che piano piano diventa sempre più evidente”.

L’ultima in ordine di tempo è una bella storia dell’altro giorno: l’occupazione dell’ex cinema Maestoso di corso Lodi. Una riappropriazione di uno spazio abbandonato a dir poco lussuosa. Il progetto si chiama “Ri-Make” e parte dell’idea che può esistere un altro modo di fare relazione al di fuori dalle logiche di speculazione. L’idea (di Sinistra Critica) sarebbe di restituire lo spazio ai cittadini con proiezioni gratuite di film, un’aula studio notturna e domenicale, una ciclofficina e uno spazio per i bambini. Ma prima di brindare alla nuova occupazione, è obbligatoria un’altra riflessione proprio a partire dai sette arresti di ieri. Senza voler entrare nel merito della noiosa questione su chi deve vietare che cosa (se la polizia o il Comune di Milano, per la serie “io non c’ero e se c’ero dormivo”) – e senza nemmeno per fare troppo i piangina – ma è mai possibile che la questura sia così tollerante con un raduno internazionale di neonazisti che si ritrova a canticchiare Hitler e nello stesso tempo così inflessibile con un gruppo di studenti che alla luce del sole rivendica solo uno spazio di agibilità all’interno della Statale?

Forse, in via Fatebenefratelli, c’è qualcosa che non sta funzionando alla perfezione. E Palazzo Marino farebbe bene a pretendere almeno un po’ di ascolto, perché le politiche (e i rancori) si sedimentano anche per queste faccende che sembrano di poco conto, e che invece lasciano il segno.