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Setak, la forza del dialetto come idioma universale

Setak, la forza del dialetto come idioma universaleSetak – foto di Martina D’Andrea Giovanni

Incontri Parla il cantautore abruzzese, targa Tenco per l’album «Assamanù». «Finora ho avuto pochissimo tempo per rendermene conto, ora voglio provare a godermi questo momento e questi dischi, poi comincerò a pensare al futuro»

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

La scoperta di una lingua antica, famigliare, conosciuta da sempre, per riconciliarsi con i propri luoghi e per trovare una nuova via, un linguaggio musicale unico, che integrasse influenze provenienti dal mondo intero. È questa la via che ha percorso Setak, cantautore che nel dialetto abruzzese ha trovato la chiave per scrivere canzoni che partono dal microcosmo di Penne, borgo della provincia di Pescara, e parlano di temi universali, la memoria, il rispetto per la natura, le dinamiche di paese, l’addio alle persone che amiamo.
Il nuovo disco, Assamanù (pubblicato a maggio), è l’ultimo capitolo di una trilogia iniziata nel 2019 con Blusanza, e proseguita nel 2021 con Alestalé. «Mentre con il primo disco ho pensato a descrivere i primi 13-14 anni di vita, che sono quelli che secondo me ti segnano per sempre e definiscono la tua formazione emotiva» racconta Setak, il cui nome d’arte deriva dal soprannome della sua famiglia, lu setacciar, «con il secondo lavoro ho iniziato a tirare fuori la testa, a essere più politico: mi sono sentito di non dover chiedere più il permesso, ho tirato fuori tutto a livello emotivo e personale». Quanto all’ultimo capitolo, «mi piace pensare che sia il disco della maturità, anche a livello musicale».

E NON È l’unico a pensarlo, evidentemente: Assamanù ha appena vinto la targa Tenco per il miglior album in dialetto, dopo che già Alestalé era stato inserito nella cinquina finalista nel 2021. «Sinceramente non me l’aspettavo» riconosce il cantautore abruzzese. «Avverti quando c’è più attenzione verso di te, lo percepisci anche dall’attesa dell’album, dalla stima e dall’affetto. Ma avevo paura che il mio progetto non venisse compreso, perché più trasversale, frutto di una sintesi musicale che va al di là dell’aspetto territoriale. Invece fortunatamente mi è stato confermato il contrario e il mio lavoro è stato invece molto apprezzato».
I riferimenti musicali di Nicola Pomponi, che è un chitarrista molto legato al blues e turnista per tanti artisti pop della musica italiana, sono moltissimi, da Ry Cooder a Paul Simon e Peter Gabriel, fino alla scoperta del Brasile di Milton Nascimento, della chitarra di Ali Farka Touré o della spiritualità del musicista pakistano Nusrat Fateh Ali Khan. C’è poi un disco come Creuza de mä, che il musicista da bambino ascoltava a ripetizione, da una musicassetta registrata, senza sapere che fosse di De André. «Un disco che mi ha cambiato la vita», e che forse lo ha inconsapevolmente ispirato a cercare una lingua solo sua per fare la musica in cui si riconoscesse veramente.

L’INTUIZIONE del cantato in abruzzese è venuta mentre il musicista, dopo un periodo a Londra, insieme all’amico e produttore Fabrizio Cesare stava cominciando a lavorare al suo primo disco solista. «Ero in una fase di crisi, non trovavo più la motivazione. Non mi piaceva per niente la direzione che stava prendendo la musica in generale, soprattutto quella della mia generazione: siamo scarichi, non abbiamo articolato un presente e tutto ciò mi stava deprimendo. Andare fuori mi è servito per apprezzare di più le mie origini, la mia peculiarità. Io scrivevo in inglese, pensa un po’. Poi il mio produttore mi ha fatto notare che quando volevo essere efficace nei discorsi, chiudevo sempre in abruzzese. Mi ha detto: “Prova a cantare in dialetto”. Mi è venuto naturale usare la mia lingua, con cui sono cresciuto. Quando parlo, spesso traduco in italiano le cose che penso in dialetto. E in un secondo mi si è aperto un mondo, e ho visto tutto quello che avrei fatto da quel momento in poi».
Tra gli ospiti di Assamanù, registrato nello studio di Fabrizio Cesare nella campagna abruzzese, ci sono Angelo Trabace (Baustelle, Dimartino), Luca Romagnoli (cantante dei Management) e il cantautore e scrittore Simone Cristicchi, presente in Figli della storia, brano sull’importanza della memoria.
Ora Setak, dopo la vittoria del premio Tenco, è in tour, per portare a quante più persone possibile le canzoni di Assamanù. «È come se questo disco avesse potenziato anche gli altri due», riflette. «Finora ho avuto pochissimo tempo per rendermene conto, e per adesso voglio provare a godermi questo momento e questi dischi. E fra un po’ comincerò a pensare al futuro».

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