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Sessi (e potere) II

Sessi (e potere) IIUna scena di House of Cards con un dialogo tra Claire e Frank Underwood

In una parola La rubrica settimanale di Alberto Leiss

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 21 aprile 2015

Di fronte alla tragedia continua delle morti nel Mediterraneo, e alla miseria della politica degli stati europei e del mondo, incapaci di intervenire (o meglio indifferenti o cinicamente corresponsabili), avrei voglia solo del silenzio, o di una protesta tanto forte da cambiare le cose. Accoglierò però il messaggio di un’amica sindacalista che mi suggeriva di guardare e commentare l’ultima puntata (per ora) del ciclo House of Cards (incautamente l’ho fatto per quella precedente…).

Ci provo perché anche da questa fiction mi sembra emergere, nell’enfasi di un messaggio spettacolare (ma siamo immersi nella società dello spettacolo), una fortissima esigenza di cambiamento della politica. Del potere.

Non è un caso che a dare voce a questa esigenza sia Claire, la moglie del presidente Frank Underwood, una donna. L’abbiamo lasciata inquieta per il regime di scarsa verità e di comune devozione al potere che condivide col marito, e la ritroviamo in completa crisi. Non ne può più di sostenere il pessimo Frank, ritrovandosi sempre in posizione subalterna, accettando ogni compromesso. Lui non capisce e reagisce con violenza: «Siamo arrivati alla Casa Bianca, sei la first lady.., non ne hai mai abbastanza…». «No – è la lapidaria risposta – sei tu che non sei abbastanza». E lo lascia sul più bello della competizione presidenziale.

La frase è già un cult nella guerra dei sessi che tutti più o meno viviamo. Ogni donna e ogni uomo, credo, ci si possono in qualche misura ritrovare.

Non saprei se a muovere Claire sia più l’insoddisfazione per l’asimmetria del potere reale che condivide col marito (la poltrona e la scrivania del presidente sono inesorabilmente per una sola persona), oppure la nostalgia per una relazione personale e politica più genuina. In cui la politica guardi a qualche altra cosa oltre al successo personale a qualsiasi prezzo.

Resta che un moto di ribellione è attribuito a una diversa sensibilità femminile.

E questo avviene mentre sulla scena «reale» della politica si annuncia la candidatura presidenziale di nonna-Hillary, e desta scalpore a Londra e non solo l’abbraccio in tv tra le tre donne leader dei partiti di opposizione (la scozzese del Snp Nicola Sturgeon, la verde Natalie Bennett e la gallese del Plaid Cymru Leanne Wood) di fronte al sorpreso laburista Ed Milliband e a un immalinconito Nigel Farage. Tre donne che guidano partiti popolari (se non populisti), due radicati localmente, ma orientati in senso progressista (difendono anche lo stato sociale e l’ambiente), dalla cui alleanza con il Labour potrebbe dipendere la sconfitta dei conservatori e dei nazionalisti di destra di Farage.

Il femminile come valore?

Tutto ciò dovrebbe suggerire qualche riflessione a noi maschi. Enrico Letta, dopo un anno e mezzo di quasi-silenzio, è andato naturalmente in tv per annunciare che continuerà a fare politica ma in un modo diverso: si dimetterà da parlamentare, non avrà pensioni o prebende, ma si guadagnerà da vivere lavorando (insegnando a Parigi). Ha anche aggiunto che – vedi caso, all’opposto di Renzi – non sopporta House of Cards. «Dà una pessima idea della politica come intrigo – ha detto a Fazio – spero che questi personaggi non esistano nella realtà».

Ma i primi commenti al suo annuncio (Filippo Ceccarelli su Repubblica) lo interpretano proprio nella logica dei vecchi intrighi democristiani: mi sposto altrove, ma per tornare e colpire meglio al momento opportuno. Insomma, anche lui «non è abbastanza».

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