Lavoro

Servizio incivile agricolo: tre euro all’ora in nome della «Nazione»

Servizio incivile agricolo: tre euro all’ora in nome della «Nazione»Il ministro dell'agricoltura Francesco Lollobrigida – Ansa

La storia Come il governo Meloni promuove il lavoro servile volontario tra i giovani tra i 18 e i 28 anni a 500 euro mensile per un anno. Il caso non è isolato, ma è un sistema. Negli ultimi anni sono state sperimentate altre forme nell'alternanza scuola lavoro e nel cosiddetto "reddito di cittadinanza". Il ministro dell'agricoltura Lollobrigida: "È un dovere servire la Patria. Diamo la possibilità di farlo nel mondo agricolo e della pesca, conoscerli senza gravare sulle imprese"

Pubblicato 7 giorni faEdizione del 28 settembre 2024

Il protocollo d’intesa sul «servizio civile agricolo» firmato dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida e dal ministro per lo sport e «per i giovani» Andrea Abodi non è una baracconata, né è un surrettizio modo di reintrodurre la leva obbligatoria. Il progetto di mettere al lavoro mille «giovani» dai 18 ai 28 anni nei campi non è nemmeno il tentativo di legittimare il «caporalato di Stato» anche se, a conti fatti, i ragazzi coinvolti rischiano addirittura di essere pagati meno dei braccianti immigrati vittime dello sfruttamento dei caporali. Poco più di 500 euro al mese per un anno significa tre euro all’ora.

Per come è stato impostato il protocollo d’intesa il servizio agricolo, incivile, è uno degli ormai numerosi tentativi sperimentati nell’ultimo quarto di secolo in Italia di formalizzare il lavoro servile volontario estraneo alle forme storiche del lavoro salariato e a quelle del lavoro codificato tramite contratto. Nelle intenzioni di Lollobrigida e di Abodi, il «servizio civile agricolo» sarebbe in sostanza una politica dell’occupazione giovanile che usa impropriamente i concetti, e gli istituti, del servizio civile in un tentativo di mascheramento di un’attività di formazione al lavoro subordinato precario tramite un impegno più simile a uno stage, o ai master. Questa confusione è evidente nello scambio proposto dal governo Meloni: potrà ottenere un posto nei concorsi pubblici (la quota riservata è del 15%) chi avrà fatto l’edificante esperienza in una di queste attività di formazione: nelle imprese agricole e nelle realtà rurali, oltre che nella pesca; nelle attività di assistenza e terapeutiche rivolte a persone con disabilità; nella promozione commerciale dei prodotti «made in Italy»; nello sviluppo del «coworking rurale» e nella tutela della biodiversità animale e del territorio.

Non è la prima volta, non sarà nemmeno l’ultima, che qualche politico regnante prova a snaturare lo statuto, a dire la verità sfuggente, del «servizio civile universale» formalizzato nel 2016 dal pessimo governo Renzi. Ciò può avvenire per l’ideologia di fondo che percorre la politica italiana – di destra e di «sinistra» – abituata a considerare il lavoro come un imperativo morale e un’attività individuale e subalterna allo Stato e all’impresa. Ma ciò che è più importante è che queste iniziative non sono cavoli a merenda. Sono invece come il tofu che condisce ogni piatto servito al tavolo delle politiche per l’occupazione destinate ai giovani e ai meno giovani. Il «servizio civile agricolo» è una dei tanti nuovi coni concettuali che dovrebbero permettere alle imprese di sfruttare manodopera gratuita senza formarla. I tirocinii, i praticantati e anche gli stage sono invece forme di lavoro contrattuali e pagati almeno il doppio di uno pseudo-salario travisato da contributo per il servizio civile.

L’iniziativa di Lollobrigida e Abodi rientra in una categoria che sfugge a chi, giustamente in queste ore, l’ha criticata. Parliamo di lavoro servile volontario, attività ambivalente perché sospesa tra l’incudine del bisogno e il martello dell’obbligo. Si tratta di un’attività che governi diversi hanno cercato di razionalizzare. È possibile rintracciare la sua presenza – per ora puntuale e discontinua – in altri settori. Senz’altro in quello dell’alternanza scuola-lavoro, formalizzata dal governo Renzi nel 2015. Ma anche nei «progetti utili per la collettività» (Puc), l’idea più feroce del Workfare presente nel cosiddetto «reddito di cittadinanza» voluto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega nel «Conte 1». La stessa idea si ritrova nel «supporto per la formazione e il lavoro» e nell’«assegno di inclusione» del governo Meloni. Parliamo di quella prestazione, teoricamente obbligatoria, richiesta ai beneficiari di un sussidio (mediamente superiore ai 500 euro mensili, guarda un po’) da svolgere fino a 16 ore a settimana. La possibilità di ricorrere a questo tipo di lavoro servile non ha destato, in 5 anni, un richiamo particolare nel dibattito.

Forse la discussione sul servizio civile agricolo può essere l’occasione di una critica di un’economia, come quella italiana, che allo sfruttamento dei bassi salari e dei precari ha aggiunto quello del lavoro servile.

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