Sergio Bruni, voce di Napoli
Ritratti Cantante e partigiano, scomparso vent'anni fa, fu in musica «l’ultimo miracoloso innesto tra mondo contadino e mare di Napoli»
Ritratti Cantante e partigiano, scomparso vent'anni fa, fu in musica «l’ultimo miracoloso innesto tra mondo contadino e mare di Napoli»
Quest’anno si celebrano gli 80 anni delle «4 giornate di Napoli» durante le quali tra il 27 e 30 settembre del 1943 un’insurrezione popolare libera la città dall’occupazione nazifascista. Una rivolta che non ha connotazioni né di classe né di genere. Nelle strade, sulle barricate combattono operai, studenti, intellettuali, uomini e donne mossi dall’insofferenza verso la dittatura tedesca. Napoli è la prima città europea a liberarsene senza l’appoggio degli Alleati; un atto che le vale la medaglia d’oro al valor militare. Un altro anniversario che ricorre quest’anno sono i 20 anni dalla morte di Guglielmo Chianese in arte Sergio Bruni, nato a Villaricca (Napoli), l’antica Panecuocolo, il 15 settembre 1921 e morto il 22 giugno 2003 a Roma.
Ricorrenze che solo apparentemente sembrano non aver nulla in comune, essere agli antipodi, avulse, ma che in realtà si correlano per un avvenimento che vede Sergio Bruni protagonista della Resistenza durante le «4 giornate di Napoli». È, infatti, un partigiano, un uomo che lotta contro l’invasore, prima di essere musicista e cantante. Nel settembre 1943 si trova a Chiaiano (NA) in licenza di convalescenza, proveniente dal 93° reggimento di fanteria di Torino, dove presta servizio di leva. Avuta notizia che a Napoli la gente sta insorgendo contro le truppe tedesche, forma con una decina di giovani della sua età un gruppo di volontari. Si procurano armi, pistole, bombe a mano e il 29 settembre, con l’aiuto di un capitano d’artiglieria, riescono a sminare il ponte di Chiaiano.
Sulla via del ritorno s’imbattono in una pattuglia tedesca e in uno scontro a fuoco il giovane Sergio è gravemente ferito. Durante il trasporto in ospedale, su un carretto guidato da un ragazzo e scortato da una donna nota come ’a Rusecarella, ripete «L’avimmo fatto fuì, a chille carugnune». La sua vita è salva per miracolo, ma quel colpo gli procurerà una perenne andatura claudicante. Dimesso dall’ospedale, spinto e aiutato sia moralmente sia economicamente dai compagni di Chiaiano che saranno i primi estimatori della sua voce, comincia a frequentare la scuola di canto tenuta dal M° Gaetano Lama e dal cantante Vittorio Parisi e ne diventa subito il vanto.
Dopo pochi mesi, presentato da Parisi, debutta ufficialmente come cantante il 14 maggio ’44 al Teatro Reale (oggi Teatro Bracco) di Napoli. Ciò assume grande rilievo, perché la sua formazione musicale comincia a 9 anni quando frequenta la scuola serale gratuita di musica, istituita a Villaricca per formare la banda musicale del paese. Diventa suonatore di clarinetto a undici anni realizzando così la prima esperienza da musicista. L’origine contadina del cantore partigiano e comunista ha sicuramente un’influenza sostanziale per la formazione della sua vocalità. È affascinato, infatti, dai canti dei contadini e dalle voci dei venditori ambulanti di Panecuocolo, cui sin da ragazzo presta orecchio, s’ispira e che comincia a intonare.
Nel ’45 vince un concorso per voci nuove bandito dalla RAI. La fase finale si svolge il 21 ottobre al Teatro delle Palme di Napoli e Bruni si classifica primo cantando Casetta fra gli abeti e I’ te vurria vasà. La vittoria gli frutta un premio di 3.000 lire e un contratto con Radio Napoli. Inizia lunghe prove di dizione e canto con il M° Gino Campese, direttore dell’Orchestra Stabile di Radio Napoli; prove che gli consentono di affinare meglio le doti canore. Di questo periodo si ricordano canzoni come Sciummo, ’O ritratto ’e Nanninella, Palcoscenico, Indifferentemente.
A metà degli anni 60 si concede un periodo di riflessione a Napoli per approfondire lo studio della canzone classica napoletana, che sarà protagonista assoluta dei concerti in cui si esibirà con un organico composto solo da due chitarre e un mandolino. In questi anni «’a voc’ ’e Napule», come l’ha definito icasticamente il fraterno amico Eduardo De Filippo, inizia a imporre uno stile interpretativo sempre più personale e inconfondibile che lo accompagnerà per tutta la carriera; uno stile che risente fortemente del contesto sociale in cui è cresciuto. Va ricordato che di Eduardo musica la poesia È asciuto pazzo ’o patrone. Il M° Roberto De Simone afferma: «Nativo di Villaricca il suo modo di cantare risente di uno stile etnico, entrato in contatto con la tradizione urbana della canzone di Napoli. In tal senso, lo stile di Bruni è ricco di fioriture, di appoggiature, di suoni vibrati e tremolati di gola, di suoni attaccati di striscio, di effetti smorzarti a mezza voce, che trovano un parallelo e un riferimento perfino con quelli descritti nel 1600 dallo Sgruttendio. In sintesi, l’ultimo miracoloso innesto tra mondo contadino e mare di Napoli».
Tra metà anni 80 e inizio anni 90 realizza con le orchestrazioni di De Simone l’antologia Sergio Bruni – Napoli la sua canzone, che include brani come le villanelle del 500, le arie d’opera napoletana del 700, le canzoni classiche. La silloge è composta da due cofanetti contenenti ciascuno quattro dischi e il saggio Appunti per una disordinata storia della canzone napoletana di De Simone. Lo chansonnier di Villaricca incrocia nel ’75 il poeta Salvatore Palomba che ha pubblicato il libro Parole overe. Nasce un sodalizio artistico che l’anno dopo porterà alla pubblicazione del disco Levate ’a maschera Pulicenella – Itinerario poetico musicale attraverso la Napoli d’oggi (musiche di Bruni, poesie di Palomba), un programma televisivo sulla nuova canzone napoletana trasmesso da Rai 2 e uno spettacolo al Teatro Tenda di Piazza Mercato a Napoli. La stampa nazionale ne parla con entusiasmo. Il sindaco di Napoli Maurizio Valenzi manifesta tutta la stima a Bruni in un telegramma: «Permettetemi di felicitarmi con Voi e con il poeta Salvatore Palomba per la trasmissione televisiva Levate ’a maschera Pulicenella.» Particolarmente interessante è il tentativo di liberare la canzone napoletana da folklore deteriore e da sentimentalismo attingendo alla cruda realtà di Napoli. I nuovi contenuti possono dare vitalità e freschezza poetica a un genere d’arte che le convenzioni accademiche hanno reso sterili e impopolari».
Tra i brani si menzionano ’A libbertà, Carmela (un pezzo senza connotazione cronologica, entrata di diritto nei classici napoletani), Notte napulitana, Masaniello, Napule nun t’ ’o scurdà, dedicata alle «4 Giornate di Napoli». Nel ’94 per i 50 anni di carriera, su progetto di Palomba, pubblica il cd Sergio Bruni – La Voce di Napoli, che contiene due sue nuove composizioni su testi di Palomba Napule doceamara e Che miracolo stammatina, e alcune interpretazioni più significative quali Amaro è ’o bene, ’A vucchella, Marechiare, Vieneme ’nzuonno.
Nel ’95 si esibisce in due memorabili concerti. Il primo si svolge il 15 agosto a Napoli in Piazza San Domenico Maggiore, alla presenza del sindaco Antonio Bassolino. Il secondo, voluto dal Comune di Roma, si tiene il 7 dicembre al Teatro dell’Opera. Nel 2000 lascia Napoli e la casa che per anni è stata frequentata da ammiratori, artisti, intellettuali, studiosi, e si trasferisce a Roma.
L’immenso patrimonio culturale e musicale del cantore partigiano di Panecuocolo va salvaguardato e divulgato, istituendo un premio che ricontestualizzi l’arte della canzone napoletana, creando un archivio e/o un museo. Ciò serve alle nuove generazioni per riappropriarsi di un’identità culturale che rischia di perdersi travolta dallo strapotere mediatico e dallo sfrenato consumismo. Il primo passo tocca alle istituzioni politico-culturali del capoluogo partenopeo che, attratte sempre più da turistificazione ed eventi effimeri, finiscono col dimenticare un artista dalla creatività originale e geniale.
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