Come le altre rivoluzioni tecnologiche che si sono succedute a partire dal XVIII secolo e che sono fallite nella promessa di liberarci dal lavoro, anche la cosiddetta «quarta rivoluzione», decantata dai guru del transumanesimo, non produrrà alcun miglioramento. Piuttosto – scrive Serge Latouche, animatore della Revue du MAUSS, nel suo ultimo libro, Lavorare meno, lavorare diversamente, o non lavorare affatto (Bollati Boringhieri, pp. 96, euro 12,00, traduzione di Fabrizio Grillenzoni) si verificherà «una dittatura degli algoritmi». Del tutto contrario all’utopia digitale, che non fa se non proseguire il medesimo paradigma creato dal lavoro salariato, il padre della decrescita chiede di immaginare l’uscita della società del lavoro per andare verso una comunità in cui le attività senza fine economico, pubbliche e private, sociali e personali, saranno prevalenti. Non si tratta – come alcuni detrattori hanno detto – di tornare a un passato perduto, ma di «inventare una tradizione rinnovata».

LIBRO BREVE, ma denso di profondi stimoli, quest’ultimo di Latouche affronta un tema decisivo per sottrarsi alla cornice della società ispirata alla crescita, il tema di una doppia impostura: dello «sviluppo sostenibile», e della «crescita verde».
Da non più di 20 anni, la rivoluzione culturale di cui si pretende portatrice la decrescita persegue un cambiamento radicale di paradigma, che consiste niente meno che nell’uscire dall’economia moderna cioè, nell’abbandonare la religione della crescita. Proprio dall’esperienza della pandemia, così come dal recente movimento francese contro la riforma delle pensioni, ci viene una lezione su come sopravvivere senza consumi eccessivi e su come battersi per un’idea diversa di lavoro e per una sua migliore qualità.
D’altronde, già i precursori della decrescita – da Ivan Illich a Andrè Gorz a Jean Baurdrillard – avevano condotto una critica serrata al produttivismo, ed è a loro che ancora ci si riferisce per uscire dalle condizioni di vita che minacciano il collasso climatico.

DEL RESTO, sottolinea Latouche, «non si risolverà il problema sociale senza realizzare una vera transizione ecologica». E indica tre misure principali: la rilocalizzazione sistemica delle attività utili già in atto tramite i neo-agricoltori, neo-rurali, neo-artigiani; una riconversione progressiva di attività parassitarie come la pubblicità, che è vendita dei desideri, o nocive come il nucleare e l’industria delle armi; una riduzione programmata e significativa del tempo di lavoro, passando per l’imbrigliare l’economia attuale ed eliminare i tabù del protezionismo e dell’inflazione.