Le più recenti ricerche in ambito botanico e scientifico ci consegnano l’immagine dei grandi alberi annosi del mondo come centro mnemonico e strategico di quella complessa società costituita dagli alberi di un bosco o di una foresta. Abbiamo iniziato, si potrebbe dire, appena iniziato a comprendere quanto sia evoluta e complessa questa società segreta, carbonara soltanto ai nostri occhi, che gli alberi allenano da milioni e milioni di anni, e mentre noi ci proiettavamo fuori dalle caverne e avanzavamo nella sapienza di capire le proprietà dei materiali che ci circondavano, costruendo case, assemblando edifici, armi e strumenti di trasporto, edificando città e mura e torri e cattedrali e grattacieli e metropolitane e razzi spaziali, gli alberi continuavano a «fiabescolare» là sotto, dove ora noi abbiano posto la nostra attenzione.

CERTO NON SIAMO NEMMENO PIU’ COSI’ ingenui come capitava quaranta o cinquant’anni fa, quando semplicisticamente e fatalmente si credeva che le radici fossero «i cervelli» delle piante, le cose stanno diversamente ma con gradualità tanti studiosi iniziano a decriptare caratteri, comportamenti, interazioni, azioni e reazioni.

IL BEL SAGGIONE INTITOLATO L’albero Madre di Suzanne Simard (Mondadori) attesta una volta per tutte quanto da diverso tempo molti osservatori, viaggiatori, naturalisti, pensatori, dendrosofi e scienziati andavano ipotizzando o poetando: «Gli alberi anziani erano le madri della foresta. Gli hub erano Alberi Madre. Beh, alberi madre e padre, dal momento che tutti gli abeti di Douglas hanno pigne maschili con il polline e pigne femminili con i semi. Ma… io li pensavo in termini materni. Con gli anziani che badavano ai giovani. Già, era proprio così. Alberi Madre. Gli Alberi Madre connettono la foresta».

ANCHE NOI CHE AMIAMO GLI ALBERI qui nella nostra piccola Italia, in quel terzo del paesaggio consegnato o restituito alle legge di natura, quantomeno in parte, e che di alberi vetusti ne abbiamo incontrati molti, monumentali alcuni, millenari altri, attraversando le selve ci pareva, ma sembrava tutta una nostra immaginazione, che la presenza di questi giganti silenziosi avesse addirittura influenzato la crescita dell’intero ambiente nel corso dei secoli.

COME DICE LA SIMARD GLI ALBERI lavorano insieme, sono un sistema, «un sistema intelligente, perspicace, reattivo». Certo, in Italia non abbiamo le vastità forestali che ci sono in Nord America, nell’immenso Canada o negli stati di California, Oregon o Washington, abbiamo alcune grandi distese forestali, come le faggete del Casentino, i lariceti, le abetine e le pinete dell’arco alpino, abbiamo fitte e primigenie riserve in Sardegna, in centro Italia, nella boscosa e montagnosa costolatura interna della Calabria. Alcuni di questi Alberi Madre noi li abbiamo già incontrati, proprio nelle stazioni d’inchiostro di questa rubrica, Arbor maxima.

TEMPO FA, RAGIONANDO IN PARALLELO tra le comunità buddiste e le nostre foreste, scrivevo che così come se in una comunità spirituale, per quanto instabile e a geometria variabile, è presente un «maestro», un confessore spirituale di lunga esperienza e saggezza, il cui carisma è riconosciuto spontaneamente dai partecipanti, dagli aderenti, dai praticanti, l’intera comunità se ne avvantaggia, poiché risulta – o dovrebbe risultare – positiva la sua azione, il suo esempio, sperando che non sia ovviamente eccessivamente rimarcato e venerato; tutti coloro che praticano quel credo e condividono insegnamenti e obiettivi possono vedere nel concreto che non è tutto aleatorio, uno sperare che un giorno, altrove, qualcosa accadrà. È già vivo e vero tutto ora, qui.

ANCHE PER LE FORESTE, LE NOSTRE SELVE ridimensionate, la presenza di alberi di lunga esperienza si può rivelare funzionale e preziosa. Tempo fa leggevo dei grandi ulivi presenti in Crimea, importati dai liguri al tempo della guerra ottocentesca. Oggi gli ulivi di quelle generazioni sopravvissuti sono grandi alberi con alle spalle 170 anni di esistenze, di inverni, di stagioni senz’acqua, la loro biologia consente di resistere meglio degli ulivi più giovani alle condizioni estreme, poiché già in passato le hanno affrontate e sanno dosare e condividere al meglio quel poco che si ritrovano ad avere. Non è questa una declinazione della parola saggezza?

ORA, SARA’ CHE LE MIE PICCOLE IDEE sono sbocciate ai piedi delle sequoie californiane, tra alberi alti settanta, ottanta, cento metri, con piedini di fata (lignea) ampi anche quindici – per la specie Sequoia sempervirens – o oltre i trenta metri – per la specie Sequoiadendron giganteum – ma quando penso ad un albero maestoso penso inevitabilmente alle conifere più grandi del pianeta. E così spesso mi sono messo in viaggio alla ricerca delle più curiose e grandi sequoia presenti in Italia. Nonostante le notizie che spesso ancora si sentono raccontare è storicamente accertato che le sequoie siano arrivate in Europa, grazie ai britannici, tra gli anni Quaranta e i primi Cinquanta del XIX secolo. Da allora, lentamente ma inesorabilmente, hanno raggiunto vivai e quindi giardini, orti botanici e altri spazi consegnati alla natura.

DA QUEL CHE SONO RIUSCITO A METTERE inssieme componendo quei venti e più silvari che ho cucito, le più annose sarebbero le sequoie del parco di Villa Serra a Comago (Ge), messe a dimora intorno al 1848-40-50, la sequoia turionale che domina il piccolo giardino botanico fondato dal forestale boemo Siemoni, al soldo del Granduca di Toscana in territorio aretino, che dovrebbe essere stata messa a dimora nel 1849, e le più anziane tra le diverse sequoie volute da Giovanni Piacenza in onore della promulgazione dello Statuto Albertino nella felice primavera del 1848. Ma dovrebbero essere coeve anche le sequoie messe a dimora lungo le strade che risalgono al castello di Sanmezzano, voluto ampliare dai ricchi fratelli Panciatichi in frazione leccio a Reggello, Toscana.

PIU’ RECENTI PARE SIANO LE PIU’ GRANDI, messe a dimora probabilmente tra fine Ottocento e primissimi Novecento, come la più grande ad oggi conosciuta, che cresce nel giardino di una piccola villetta nel cuore di un paesino cuneese, a Roccavione, con i suoi 16 metri di circonferenza del tronco alla base e un’altezza che si aggira intorno ai 50. Ma non meno belle e maestose sono le sequoie che possiamo ammirare nei giardini della Valle d’Aosta, in diverse località del Trentino e dell’Alto Adige, in Piemonte, Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Calabria, Friuli, Liguria. Ovviamente si tratta di ragazzotti ben cresciuti se pensiamo alle ultramillenarie californiane, alte fino a 90 metri – le sequoie giganti – o i quasi 116 metri – le sequoie costali – ed età che possono raggiungere – e superare – i 2500 anni. Cosa ci sarà in Italia tra venti secoli? Ci saranno ancora gli umani?