Senza tregua, per oggi previsti 145 centimetri sopra il livello del mare
Venezia Ma la città non si arrende, con decine di persone che lavorano nella calli per ripulirle
Venezia Ma la città non si arrende, con decine di persone che lavorano nella calli per ripulirle
Il giorno dopo la grande alluvione, Venezia si è risvegliata con l’acqua alla gola e un dolore a livello del mare. Tanto per citare una nota canzone di Francesco Guccini. La grande paura non è ancora passata. L’ultimo sms del Centro Maree ha avvisato i residenti che per oggi è atteso un altro picco di marea alle ore 11 e 20. Sono previsti 145 cm sopra il livello del mare. Un allarme rosso secondo che la scala delle maree sta a significare in codice una «alta eccezionale». Si tratta comunque di una marea gestibile con i consueti accorgimenti ai quali i veneziani si sono dovuti assuefare da quando, con lo scavo del canale dei Petroli e gli interramenti di Porto Marghera del dopoguerra, l’equilibrio idrogeologico della laguna è stato alterato per sempre.
Chi abita nei piani più bassi ha piazzato le paratie in acciaio davanti alla porta, nei negozi e nei bar le pompe sono pronte ad entrare in funzione. Le barche legate saldamente alle bricole, ma con il lasco necessario a farle muovere senza strappi e con i parabordi ben piazzati. Nei magazzini, le merci e tutto quello che ha a che fare con l’elettricità alzato nei ripiani superiori.
La protezione civile ha messo in sicurezza quello che si poteva mettere in sicurezza e ha piazzato le passerelle sulle strade principali per consentire alle persone di spostarsi e raggiungere i punti nevralgici della città come piazzale Roma, da dove partono gli autobus per la terraferma, e la stazione dei treni.
Insomma, tutto è pronto per un’altra battaglia. La domanda è: basterà? Sempre il Centro Maree ha avvisato sui suoi canali internet che «sono previsti venti di Scirocco lungo l’Adriatico». Proprio quel vento caldo e umido che soffia da sud est e che in laguna significa «acqua alta» perché spinge la marea dentro le bocche di porto e, cosa ancora più pericolosa, le impedisce di uscire al momento della «dozana», la marea calante. Proprio quel vento che, soffiando a 100 chilometri all’ora, è stato una delle principali cause del disastro di martedì.
L’altra causa, quella ancora più impattante e pericolosa, è sempre la stessa: l’uomo. O il capitalismo, come scriverebbe qualcuno. Fatto sta che queste mareggiate non sono un disastro naturale. Tanto è vero che non si verificavano ai tempi dei dogi, quando attentare all’incolumità della laguna era l’unico reato per cui il consiglio dei Dieci ti poteva condannare a morte. «I canali profondi delle bocche di porto, scavati per far passare le grandi navi e per realizzare il Mose fanno affluire migliaia di metri cubi d’acqua nella laguna consegnando Venezia a una marea di una violenza inaudita», hanno spiegato in una nota le ragazze ed i ragazzi di Fridays for Future che hanno deciso di spostare a Venezia, al laboratorio Morion, la loro assemblea che era programmata in terraferma. Per tutta la mattina, in stivali e tuta da lavoro, armati di badili e di sacchetti delle immondizie, hanno battuto la città, pulendo dove c’era da pulire e aiutando chi aveva bisogno. I social e le chat hanno fatto da mezzo di comunicazione per organizzare il lavoro ed indirizzare gli sforzi verso le scuole più colpite, il conservatorio, i tanti musei, senza dimenticarsi «il kebabaro vicino al liceo Benedetti», come scritto in un WhatsApp che avvertiva: «gli è partito il frigorifero ed ha bisogno di un elettricista».
«Oggi ho visto una città che si è svegliata con la voglia di continuare a vivere e di costruire un percorso comune – ha evidenziato il rettore di San Marco, Amerigo Restucci -. In mezzo a tanta devastazione, c’erano giovani che giravano per le calli per ripulirle. Il libraio vicino all’università aveva già aperto il suo negozio e sistemato in una bancarella i libri un po’ rovinati dall’acqua, con un cartello che diceva che, chi li voleva leggere, se li poteva prendere gratuitamente. Questo evento catastrofico potrebbe essere un’occasione per ritrovare un senso civico che si stava perdendo e per mettere in campo quello che sino ad oggi è mancato alla politica: un vero progetto di salvaguardia diffuso, basato, più che sul cemento e sulle grandi opere, su quegli interventi di bonifica e di riequilibrio idrogeologico che possono davvero contrastare questi fenomeni atmosferici estremi ai quali andremo incontro sempre più frequentemente».
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