Senza mai girare le spalle alla Storia
Incontri La figura di Marc Bloch, studioso militante e anticipatore degli Annales francesi. Domani meeting alla Fondazione Feltrinelli di Milano
Incontri La figura di Marc Bloch, studioso militante e anticipatore degli Annales francesi. Domani meeting alla Fondazione Feltrinelli di Milano
A proposito di Marc Bloch molti hanno parlato della sostanziale unità che legherebbe i molti volti dello storico Marc Bloch: il cittadino, il soldato, il resistente e anche le molte denominazioni con cui si firma in differenti momenti della sua esistenza.
Partiamo dall’unità delle differenti figure: Narbonne, Marc Fougères, Maurice Blanchard, Marc Bloch (lo storico, il soldato, il resistente). Questa unità è assicurata dai valori del patriottismo repubblicano, dalla presenza di un forte legame alla sfera pubblica, allo Stato, altrettanto ai valori di una religione quasi laica, che contano molto di più dei tratti caratteriali dell’individuo Marc Bloch (le testimonianze dicono che egli fosse una persona molto «egoista» e ambiziosa). In effetti basta pensare al testamento del 1915 («sono morto per una causa che amavo (…) voi mi avete insegnato a mettere certe cose al di sopra della mia vita stessa» (Marc Bloch, Écrits de guerre, A. Colin, Parigi) o, trent’anni dopo, alle parole scritte il 27 febbraio 1944, a Simonne Bloch, sua moglie, in una lettera ancora inedita: «Grazie per l’impegno a darmi coraggio. Decisamente i contatti umani spesso sono deludenti, ma ci sono cose più grandi degli uomini, e negli uomini stessi cose che li superano».
Nel momento che si rivelerà cruciale, Bloch esprime la sua delusione nei confronti dell’atteggiamento di qualche persona; forse, ma non è detto, anche di compagni della lotta clandestina. L’esperienza politica di Bloch della Resistenza probabilmente è stata tutt’altro che semplice. Ma si legge anche in questa stessa lettera la conferma in extremis (Bloch sarà arrestato nove giorni dopo) di valori che trascendono la vita individuale.
Personalità multiforme
Considerando questa tensione verso lo Stato il «fuoco centrale» della motivazione di Bloch – ossia la dimensione pubblica, il patriottismo repubblicano –, è possibile delineare due percorsi con l’ausilio delle testimonianze disponibili. La prima conduce dalla sfera pubblica alla politica e riguarda l’agire del cittadino patriota che partecipa a due guerre, nel 1940 rifiuta la sconfitta e continua a combattere nella Resistenza. La seconda va dalla storia alla sfera pubblica e copre l’azione dello storico critico e innovatore della disciplina. Questi due distinti ordini di azioni si originano dunque da un medesimo centro, ma prendono due direzioni nettamente divergenti: Narbonne che decritta un messaggio cifrato a Lione non svolge la stessa attività di Marc Fougères che redige una scheda per i Mélanges d’histoire sociale, anche se Marc Bloch sosterrebbe, in linea teorica, che la finalità di queste due azioni è, al fondo, identica: in un modo o nell’altro, le direzioni divergenti, convergerebbero verso il centro, verso la sfera pubblica.
Una prima traiettoria conduce così dallo Stato alla politica. Ricordiamo di primo acchito che Bloch non pratica, se non alla fine, la politica come una lotta partigiana, o come una lotta di capi per la conquista e l’esercizio del potere. Politica è il titolo che egli dà a una nota del suo quaderno Mea (1940-1943), dove cita gli Essays in Persuasion di Keynes laddove l’economista inglese scrive: «Gli uomini di stato moderni hanno per metodo di dire tante sciocchezze, quante ne reclama il pubblico e di non farne di più, di quel che esige ciò che si è detto» (Marc Bloch, Carnets 1917-1943). Dire e fare sciocchezze: insomma Bloch esecrava, perfino temeva e disprezzava, le lotte per il potere, i partiti e i capi – che essi agiscano in regimi parlamentari o nelle «religioni politiche» ritenute totalitarie (non scrive forse nel 1934 che il comunismo e il nazismo sono chiaramente delle religioni? Marc Bloch – Lucien Febvre, Correspondance, Fayard).
Il suo senso profetico era sufficientemente raffinato per distinguere dove avrebbero portato le sciocchezze di diversi attori politici incolti – occorre richiamare ciò che Bloch e Febvre hanno scritto su Blum, Daladier, Neville Chamberlain, Hitler e Mussolini? Egli aveva, d’altra parte, una certa stima per Churchill, così come testimonia una nota del diario di Léon Werth (Léon Werth, Déposition. Journal 1940-1944). Del resto, il sentimento prevalente, soprattutto negli anni Trenta, è stata la frustrazione di non avere alcuna influenza sugli avvenimenti.
L’azione del combattente
Con l’inizio delle ostilità (agosto 1939), il cittadino Bloch può finalmente entrare in azione, ma egli è immediatamente assalito dai dubbi per quella decisione. Dopo la sconfitta, egli si convince progressivamente che la Francia è stata vittima di una «vasta impresa di tradimento», insomma di un complotto che ha favorito il crollo militare e il «colpo di Stato». Il suo impegno leale di cittadino comincia a subire una trasformazione profonda e interessante, che si com
La seconda connessione, certamente più indagata, lega i valori della dimensione pubblica, del patriottismo repubblicano, alla storia scientifica. Anche se nell’Apologia della storia si definisce un artigiano, il suo obiettivo, a partire dal quaderno del 1906, è quello di costruire una storia scientifica. Lasciamo da parte i significati vari e fluttuanti della parola scienza. Ma è da questa altezza che la storia, come disciplina scientifica, può, a giudizio di Marc Bloch, penetrare utilmente nella società attraverso l’insegnamento a ogni livello (di cose e non di parole), l’organizzazione della ricerca e dei suoi strumenti, attraverso anche la rivista che dirige insieme a Lucien Febvre – ma pensata in un primo momento con Henri Pirenne, in una dimensione di collaborazione internazionale – attraverso, infine, la «società» di amici di Pirenne, sorta di embrione delle istituzioni di ricerca nate dopo la seconda guerra mondiale e legate alle Annales.
Il prestigio di una disciplina
Il ragionamento complessivo dell’Apologia sull’utilità e sul diritto a esistere della storia, sulla necessità per la corporazione degli storici di rendere conto pubblicamente delle loro ricerche, l’insieme dei discorsi sull’esame di coscienza, – che lega con un filo invisibile il Témoignage sulla sconfitta del 1940 all’Apologia – suona alla fine come una domanda retorica: Bloch è persuaso che sia impossibile fare a meno della storia. Certo, egli ammette – per principio o per il piacere della provocazione intellettuale – che la civiltà occidentale possa cambiare e «volgere le spalle alla storia». Ma se, nel bel mezzo del ventesimo secolo antistorico (l’antistoricismo del Croce del 1930), egli esprime, controcorrente, questa fiducia incrollabile è perché, forte della sua esperienza, egli è consapevole che la storia può essere una pratica decisiva, degna di riconoscimento sociale. Di prestigio collettivo. E perché ha constatato che la storia potrebbe suscitare entusiasmo e che costituisce un pilastro senza il quale non si creano legami sociali.
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