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«Senza investimenti il lavoro non c’è». Stroncatura turca al ’job’ di Renzi

«Senza investimenti il lavoro non c’è». Stroncatura turca al ’job’ di RenziMatteo Renzi, segretario del Pd e sindaco di Firenze

Democrack Sussidi contro cassa integrazione, la sinistra Pd critica il 'piano' del leader. Il tabù dei soldi pubblici per creare posti. Le proposte del leader «inutili» come quelle di Fornero

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 27 dicembre 2013

I toni sono urbani, i sentimenti sono natalizi, ma quella che è apparsa ieri sul sito Left Wing, l’organo ufficiale e pensoso dei giovani turchi, nella sostanza è una stroncatura al job act di Matteo Renzi. Il documento – a firma di Matteo Orfini, Fausto Raciti, Valentina Paris e Chiara Gribaudo – dichiara distanza verso i fondamentali renziani, come il credo nei «giuslavoristi apprendisti stregoni» (leggasi Ichino e Zingales) e verso la convinzione che «sono state le tutele forti dei padri a rendere precari i figli» mentre «è stata la precarizzazione dei figli a indebolire le tutele dei padri».

E tuttavia gli «appunti» tentano un dialogo con gli estensori del job act impegnati a presentare il testo entro gennaio. Del resto fra loro c’è la deputata Marianna Madia, oggi nella segreteria del Pd di Renzi. Che di recente ha fatto un passaggio proprio nel milieu turco e solo due anni fa ha scritto un libretto («Precari, storia di un’Italia che lavora», Rubettino) che non andava certo in direzione del taglio delle tutele a chi le ha, come sottolineava la prefazione della leader Cgil Camusso.

A sinistra, a parte gli angoli più radicali, la parola d’ordine è non apparire pregiudiziali nei confronti delle proposte renziane, nonostante l’entusiasmo che suscitano già fra gli imprenditori (Squinzi, Rocca, Rosso) attratti dall’idea di chiudere con l’art.18 e con il lavoro «troppo protetto». È un viottolo stretto, ma i turchi provano a percorrerlo. Le ricette renziane, scrivono dunque Orfini e compagni, «destano perplessità» quanto quelle del governo Letta perché entrambe ispirate «alle letture in voga» che imputano la crisi occupazionale all’eccessiva tassazione su lavoro e imprese. Quel po’ di tagli al cuneo fiscale dell’ultima manovra si risolvono invece in «uno spreco di risorse motivato più dall’esigenza propagandistica di rivendicare il segno meno sulla tassazione che da una concreta attenzione all’economia reale».

Quanto al job act, «l’idea non certo nuova secondo cui sarebbe sufficiente agire sulle regole del mercato del lavoro e sulla formazione per creare occupazione e ridurre il gap occupazionale fra giovani e adulti» non ha riscontri. «La maggiore flessibilità non ha prodotto più occupazione». La tesi secondo cui un lavoro precario è meglio di nessun lavoro, poi, è falsa: «Quanto più si passa da un lavoro atipico all’altro, tanto maggiori diventano le probabilità che scatti la “trappola della precarietà». Il contratto di inserimento, per non essere solo un regalo ai datori, deve «vincolare l’assunzione di nuovi candidati in prova alla stabilizzazione di almeno una parte di quelli precedenti».

Ma il cuore del ragionamento è l’indennità di disoccupazione di conio renziano che dovrebbe riassorbire altri ammortizzatori, bocciata ieri come troppo costosa dal ministro Giovannini e dall’ex ministra Fornero. Una riforma degli ammortizzatori è indispensabile, scrivono i turchi, «ma desta un certo stupore che si immagini di sostituire quelli attuali con un sussidio di disoccupazione universale a parità di risorse. Quand’anche fosse possibile trovarne molte di più di quante oggi disponibili (e non lo è), sarebbe preferibile far pendere la bilancia più dalla parte della creazione di nuovo lavoro che su misure di questa natura» che, senza una strategia sulla crescita, «finirebbero per divenire un pozzo senza fondo che risucchierebbe ogni risorsa e ogni residua possibilità di rilancio del paese». Meglio pensare ad estendere i diritti a chi non ce l’ha: malattia e maternità.

E puntare a creare lavoro. Ma per farlo «occorre superare i tabù che in questo ventennio hanno impedito di considerare quella degli investimenti pubblici diretti a generare occupazione una opzione possibile: nell’Italia di oggi è l’unica opzione possibile». Insomma il job act di Renzi rischia di cadere nello «stesso errore» delle riforme Fornero: «Cioè di camminare sulla testa dei meccanismi che regolano il mercato del lavoro (i contratti), anziché sulle gambe della crescita. E così facendo di essere, nella migliore delle ipotesi, inutile».

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