«Senza inclusione, qui e nel sud del mondo, ne usciremo tra 8 anni»
Intervista Parla Aldo Morrone, direttore scientifico del San Gallicano di Roma: «Infantile pensare che a Natale avremo sconfitto la pandemia». «Durante la Seconda guerra mondiale ci fu una moratoria per aumentare la produzione della penicillina. Ecco, ci sono momenti della Storia in cui non si può che salvare vite umane. Poi si potrà pensare ai profitti»
Intervista Parla Aldo Morrone, direttore scientifico del San Gallicano di Roma: «Infantile pensare che a Natale avremo sconfitto la pandemia». «Durante la Seconda guerra mondiale ci fu una moratoria per aumentare la produzione della penicillina. Ecco, ci sono momenti della Storia in cui non si può che salvare vite umane. Poi si potrà pensare ai profitti»
«Lavoriamo come pazzi dalla mattina alla sera, ma spesso ci assale il dubbio di non riuscire a fare abbastanza. Come Sant’Agostino, nelle Confessioni, ci sembra di svuotare il mare con un secchiello». Il professor Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano di Roma, non nasconde la fatica e il senso di frustrazione che lo assale a volte. Ieri però ha inaugurato anche un Congresso scientifico internazionale patrocinato dal Parlamento Ue e dalla Regione Lazio dal titolo «Covid-19 tra Nord e Sud del Mondo. Un nuovo contesto geo-politico e di salute dopo il Sars-Cov-2». Due giorni di confronto tra esperti internazionali sulla «sindemia che sta sconvolgendo il pianeta».
Prof. Morrone, ieri ha presentato anche il suo nuovo libro «Covid-19 tra mito e realtà. Luci e ombre della pandemia che ha travolto il pianeta» (Armando editore). Ci racconta perché lo ha scritto?
Non perché se ne sentisse la mancanza ma perché nella regione etiope del Tigray le milizie eritree hanno saccheggiato e distrutto tanti ospedali dove abbiamo lavorato e che erano diventati un punto di riferimento per centinaia di migliaia di persone, anche per il fatto che erano ormai un strumento di sviluppo economico di quel piccolo territorio. Con altri colleghi, anche locali, stiamo cercando di raccogliere fondi per riattrezzare quei presidi. Il ricavato di questo mio libro sarà utilizzato così.
E a Roma, invece, qual è la situazione, dal suo osservatorio?
In seguito ad un accordo con la Regione Lazio, da più di quattro settimane al San Gallicano di Mostacciano, insieme al Regina Elena, abbiamo cominciato la campagna di vaccinazione per malati oncologici, ematologici o affetti da altre malattie molto serie, e sottoposti a terapie. Sono ormai più di 2 mila: persone estremamente fragili, italiani e stranieri, clandestini o regolari. Li abbiamo anche coinvolti in uno studio, sottoponendoli a prelievo sierologico e tampone nei giorni della prima e seconda dose del vaccino, poi a 4 settimane, a 12, 24 e a 53 settimane, per vedere come funziona l’immunità in loro.
A proposito di fragilità, in Italia si stima ci siano circa 500 mila ’invisibili’: senza fissa dimora, “clandestini”, cittadini comunitari in condizione di irregolarità, apolidi, Rom e Sinti… Malgrado le ripetute raccomandazioni dell’Ecdc europeo, finora – come aveva spiegato bene Arcuri – i “clandestini” sono espressamente tenuti fuori dalla campagna vaccinale. Cosa ne pensa?
Rimangono fuori quelli che purtroppo sono sempre stati esclusi dal circuito dei servizi, le persone più fragili o quelli irregolarmente presenti sul territorio, che però avrebbero diritto alla tessera Stp di accesso al Ssn. Finora noi abbiamo sottoposto a tampone e vaccinato circa duemila persone di questo tipo in istituto, al colonnato di San Pietro con il supporto di Medicina solidale – in quel contesto i farmaci vengono forniti gratuitamente dalla Farmacia vaticana – e alla stazione Termini con il gruppo di Binario 95. Quando tempo fa parlai con l’allora sottosegretaria alla salute Zampa le spiegai che questo è un progetto che può essere facilmente riprodotto in ogni Asl d’Italia, visto che il codice Stp con il quale si reinseriscono nel Ssn coloro che ne sono esclusi ha già più di 25 anni ed è legge dello Stato. Una norma nata proprio per la salvaguardia della salute del Paese. D’altronde, se si vuole avere un servizio sanitario solidale, universale e gratuito si devono porre al centro delle politiche sanitarie le fasce più deboli.
Un anno fa lei si diceva fiducioso della solidarietà che si sarebbe sviluppata nel contrasto alla pandemia, sottolineando l’importanza della coazione di scienza e solidarietà. Qual è il suo bilancio di oggi?
Sicuramente i nostri cittadini sono fortemente solidali e attenti. La stragrande maggioranza rispetta i protocolli di sicurezza malgrado stia soffrendo in modo incredibile dal punto di vista economico, culturale, affettivo, cognitivo… Credo, come mai negli ultimi secoli, perché c’è una sofferenza percepita, oltre a quella vissuta. Quello che manca è la solidarietà da parte delle istituzioni: come si fa a pensare di combattere una pandemia cercando di risolvere solo i problemi del proprio comune, della propria provincia o regione? Qui non si tratta più di mancanza di solidarietà ma di una visione antiscientifica.
Infatti al 19 aprile, erano state somministrate 890.307.642 dosi di vaccino a livello globale. Le persone vaccinate con la seconda dose erano 198.992.604, lo 2,55% della popolazione mondiale. Siamo distantissimi dallo sconfiggere questa pandemia, vero?
È infantile pensare che a Natale avremo sconfitto la pandemia. Neppure nel Nord del pianeta. Perché anche in occidente ci sono quelle fasce più fragili di cui parlavamo che vengono escluse. Se non cominciamo a pensare non solo alla distribuzione dei vaccini ma anche alla capacità di portarli nelle zone rurali, remote e più impoverite del pianeta, la pandemia – abbiamo calcolato – durerà otto anni.
Come sta procedendo il progetto Covax dell’Onu?
Il Covax ha un obiettivo giusto: quello di immunizzare il maggior numero di persone nel mondo. Spero che funzioni, che non sia solo un modo di salvarsi la coscienza da parte dei Paesi più ricchi, delle case farmaceutiche e pure delle organizzazioni internazionali, perché anche l’Oms non è più quello delle origini. Anche se sono stati fissati i Sustainable development goals, obiettivi da realizzare entro il 2030. Molto belli, ma senza investimenti rimangono solo annunci. Senza uno sviluppo sostenibile è impossibile portare ovunque la campagna vaccinale.
Prendendo spunto dal titolo della sua lectio magistralis che ha tenuto ieri in apertura di congresso, siamo davanti ad una pandemia o ad una sindemia?
È una vera e propria sindemia che sta determinando a mio parere un profondo sconvolgimento del pianeta: ha causato problemi economici, sociali, culturali, politici e addirittura di geopolitica nel caso dei vaccini, assolutamente drammatici.
Dunque quando parla di sindemia lei non intende la concomitanza di patologie che interagiscono in modo nefasto, ma lo sviluppo da parte di questa pandemia di nuove patologie socio-sanitarie a livello mondiale. È così?
Sì, perché il concetto di condizioni morbose concomitanti a cui si riferiva Merrill Singer negli anni ’90 con il termine sindemia non è più sufficiente. Questa pandemia è dovuta ad un salto di specie, facilitato dai cambiamenti climatici, dalla distruzione della natura, dalla desertificazione, dalla salinizzazione dei terreni, dalla deforestazione. È ciò che ha determinato la nascita di questo virus e la sua diffusione immediata in un mondo sempre più interconnesso. Inoltre, per superare questa emergenza non basteranno farmaci e vaccini ma occorrerà un nuovo sviluppo economico. Ecco perché parlo di sindemia.
È favorevole ad una moratoria dei brevetti sui vaccini, come chiedono India e Sudafrica?
Come aveva detto Mandela riguardo i farmaci anti-Hiv, la moratoria serve per poter avere due prezzi e due mercati. È corretto che sia così: un prezzo per chi può permetterselo e un altro prezzo per il mercato più povero. D’altra parte durante la Seconda guerra mondiale ci fu una moratoria per aumentare la produzione della penicillina. Ecco, ci sono momenti della Storia in cui non si può che salvare vite umane. Poi si potrà pensare ai profitti.
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