Il suolo è la pelle del Pianeta, pochi centimetri brulicanti di vita senza i quali non sarebbe possibile produrre il cibo necessario per l’uomo e gli animali. Il suolo è generoso: dona questi e altri benefici gratis. E noi lo distruggiamo». Da questa premessa Paolo Pileri, docente di Pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, inizia il libro L’intelligenza del suolo – Piccolo atlante per salvare dal cemento l’ecosistema più fragile (Altreconomia) per spiegare perché è indispensabile proteggerlo.

Pileri, anche l’Europa e l’Onu ci richiamano alla tutela del suolo e ci chiedono di azzerarne il consumo entro il 2050, ma anche di allinearlo alla crescita demografica e di non aumentare il degrado del territorio entro il 2030. Qualcosa si sta quindi facendo per salvaguardarlo. La domanda è: sono obiettivi alla nostra portata?
Non credo sia possibile traguardare quegli obiettivi con le leggi e i piani urbanistici spuntati che abbiamo in Italia. Ma anche per l’assenza di dibattito sull’ecologia. Diciamo che un buon obiettivo sarebbe non peggiorare la situazione dotandosi al più presto di una legge di tutela dei suoli e, soprattutto, di rimozione dell’urbanizzabilità/edificabilità che non è stata attuata negli ultimi 3-5 anni. Dopodiché c’è da fermare subito il consumo di suolo fuori misura portato avanti da alcuni giganti del consumo come la logistica e le grandi e medie infrastrutture per fare spazio alla sola rigenerazione delle aree dismesse e dei patrimoni edilizi non utilizzati.
È quindi urgente una legge in difesa del suolo, che non riusciamo a promulgare. Dal 2015 varie proposte sono «sepolte» in parlamento. L’argomento sembra estraneo alla politica, nonostante che la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi sia inserita in Costituzione. Tocca troppi interessi?
Sì, troppi interessi privati che ci hanno fatto dimenticare la centralità dell’interesse collettivo depositato nei valori ecologici e paesaggistici. Senza suolo sano, saremmo tutti morti e il clima collasserebbe. All’articolo 9 la Costituzione parla di tutela del paesaggio e della biodiversità e si dovrebbe proprio partire da qui per fermare il consumo di suolo visto che nei primi 30 centimetri di terra risiede il 30 per cento di biodiversità del pianeta, oltre al fatto che ogni cementificazione si porta dietro spalmate di bruttezza sui nostri paesaggi.
Nella legge di bilancio 2023, però, è previsto un «Fondo per il contrasto del consumo di suolo». Come lo valuta?
Il comma 695 nasconde una vera e propria manomissione di concetti. Istituisce, di fatto, un fondo per bonificare i suoli degradati e inquinati che è qualcosa che non c’entra nulla di nulla con il contrasto al consumo del suolo. Le mele non sono fichi. Non abbiamo bisogno di aggiungere confusione ai significati e quel comma lo fa, purtroppo. Quello di cui abbiamo bisogno è ben altro di cui non c’è traccia: fermare la cementificazione, mandare in prescrizione le edificabilità, asciugare le assurde previsioni espansive o di completamento nei piani; rivedere le deleghe sull’uso dei suoli lasciate improvvidamente alla sola mercé dei soli comuni e tutto il corredo di contraddizioni sugli incassi degli oneri di urbanizzazione e delle imposte locali.
Lei si è schierato contro le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. Cosa teme?
Di tutto. Temo che non si farà la Valutazione ambientale strategica; che lo spezzettamento di competenze tra regioni, comuni ed enti vari favorisca la mancanza di controlli ambientali; che nessuno monitori il consumo di suolo prima, durante e dopo i lavori; i ritardi ad hoc per poi ottenere poteri speciali che violeranno la natura montana. Temo soprattutto che la grande distrazione di massa operata dalla comunicazione emotiva sulle Olimpiadi finirà per «cuocerci lentamente» in un brodo anestetizzante nel quale finiremo per essere pure complici e pubblico pagante. Il tutto per venti giorni di sport iper sponsorizzato che poi lascerà a terra cemento e dismissioni che prossime generazioni dovranno pagare.
Sta per partire la realizzazione della Ciclovia del Garda che lei ha definito un progetto non sostenibile e di forte impatto sul paesaggio. Non è invece utile per ridurre il traffico e incentivare l’uso della bicicletta come lei scrive nel libro «Progettare la lentezza»?
Fare una ciclabile non risolve di per sé la congestione da traffico: bisogna agire politicamente. Sul Garda non vi è alcuna intenzione di ridurre il traffico in modo serio e consistente, men che meno con quella ciclabile. Ma soprattutto quella ciclovia è un vero e proprio sfregio a un paesaggio tra i più simbolici e belli d’Italia perché righerà le falesie e le spiagge come un chiodo riga la carrozzeria di un’auto, tanto per rimanere in tema. E poi ha costi assurdi e insostenibili, dieci volte più di una ciclovia tradizionale, impatti ambientali spropositati e spese di gestione nel futuro imprevedibili. Amo la ciclabilità, ma questo non mi autorizza a pensarla laddove deturpa il paesaggio. Dico da anni che nel caso del Garda si può immaginare una navigazione ad hoc per i cicloturisti che consenta loro di fare le tratte dove non ha senso realizzare la ciclovia. In più godrebbero della vista mozzafiato sulle falesie e sulle spiagge: godere della bellezza e sapere di non essere complice della sua distruzione sono due valori non negoziabili in chi decide di regalarsi un viaggio lento.
Lei ha più volte citato Johan Rockström, Direttore The Potsdam Institute for Climate Impact Research, «come il vero scienziato che ci ha introdotto alla resilienza che non va confusa con la fake del Pnrr…».
La resilienza è la capacità di un habitat di ripristinare le sue condizioni iniziali dopo aver ricevuto un disturbo. Un po’ come un cuscino di gommapiuma riprende forma dopo aver ricevuto un pugno da noi. L’errore insostenibile che fa il Pnrr è quello di concentrarsi più sul cuscino che sul pugno, più sul rimedio che sull’educare l’aggressore a smetterla di aggredire. È di nuovo l’ubriacatura tecnologica che ci fa sbandare dagli impegni che dovremmo urgentemente prendere: smettere di consumare risorse naturali, come il suolo, e di degradare l’ambiente. Se pensiamo i rimedi tecnologici come una sorta di prolungamento nel futuro della nostra inerzia a cambiare, siamo fuori strada.
Di fondo non crede che non ci venga insegnata a sufficienza l’importanza del suolo e spiegato la sua fragilità?
Assolutamente vero. Viene poco spiegato a scuola come all’università. Non se ne parla nei dibattiti pubblici. Al contrario si parla in continuo di costruzioni e infrastrutture dando a questa la patente salvifica che ci porta fuori da ogni crisi, quando oggi, con le crisi climatica ed ecologica, è più vero il contrario. E poi, ancor più grave, è il fatto che lasciamo modificare suolo e ambiente a sindaci, governatori e politici ai quali non si chiede di sapere cosa è il suolo e come impattano le loro decisioni. Pretendiamo che il più umile operaio debba essere aggiornato su tutto, correttamente, ma lasciamo che i decisori politici non si aggiornino su niente che attiene ambiente ed ecologia, scorrettamente.