Senza firme i referendum sono tutti della Lega
Tempo scaduto in Cassazione Spiazzato il partito radicale. Non ci sarà nessun controllo sulla regolarità delle sottoscrizioni raccolte in quattro mesi sui sei quesiti abrogativi in materia di giustizia. Niente rimborsi e niente spazi tv, i promotori sono solo quelli indicati da Calderoli
Tempo scaduto in Cassazione Spiazzato il partito radicale. Non ci sarà nessun controllo sulla regolarità delle sottoscrizioni raccolte in quattro mesi sui sei quesiti abrogativi in materia di giustizia. Niente rimborsi e niente spazi tv, i promotori sono solo quelli indicati da Calderoli
«Il deposito delle firme avverrà tranquillamente», rassicurava i militanti il segretario del partito radicale, Maurizio Turco, venerdì pomeriggio. Fino a qualche ora prima i radicali avevano contato i moduli, messo a posto i certificati, sigillato gli scatoloni. Sostenuto le spese. Ieri mattina doveva esserci la consegna delle firme in Cassazione. Firme raccolte con la Lega sui sei referendum abrogativi dedicati alla giustizia, in quattro (e non in tre) mesi grazie alla proroga concessa per la pandemia. E invece no, il contrordine è arrivato da via Bellerio, Milano. La sede della Lega dove era il grosso delle firme e dove con la regia del senatore leghista Calderoli si era accentrato il lavoro di raccolta e conteggio. Non ci sarebbe stata alcuna consegna. Tanto la Cassazione aveva accolto la richiesta di referendum presentata da nove consigli regionali, rendendo le firme «di fatto ininfluenti».
Nel comunicato di venerdì sera la Lega dichiarava di aver raccolto milioni di firme, tra le 700 e le 775mila per ogni quesito, ma di rinunciare al passaggio finale di ogni raccolta. Passaggio al quale nessuno ha mai rinunciato per dare un senso allo sforzo dei militanti. Per trasparenza e, vedremo, non solo per quello. Così quelle firme non le verificherà nessuno. A meno che Calderoli non decida di pubblicarle ci si può solo fidare o non fidare. Ma intanto Turco, venerdì sera, deve correggersi.«È stato deciso che è inutile portare le firme. I referendum ci saranno lo stesso e in questo modo eviteremo un impegno gravoso di verifica alla Cassazione». Ma è davvero così?
No, perché la Cassazione ha appena ottenuto, con un decreto legge di inizio ottobre, l’assunzione a tempo determinato di 360 verificatori supplementari, rispetto ai 28 titolari, proprio per facilitare questo lavoro visto che le iniziative referendarie si sono moltiplicate e, per effetto della proroga alla raccolta, il tempo per i controlli è diminuito. Ma Turco, per spiegarsi con i radicali che queste cose le conoscono bene, aggiunge che «non depositando le firme non ci potranno accusare di esserci mossi per i rimborsi elettorali». Perché, in effetti, per ogni firma regolarmente depositata la legge riconosce un euro ai promotori. Fino a un tetto di oltre 2,5 milioni che sarebbe stato sicuramente raggiunto. Se davvero si tratta di una rinuncia, radicali e leghisti stanno rinunciando anche a vedersi riconosciuto, con il deposito delle firme, lo status di comitato promotore: nella fase del referendum è un potere dello stato con un diritto riconosciuto di accesso all’informazione. Un passo indietro inedito, soprattutto per i radicali.
Tant’è che qualcuno nel partito radicale, già critico per il modo in cui Turco aveva a suo dire delegato il referendum alla Lega, sospetta che Calderoli avesse deciso questa mossa dall’inizio. E in Cassazione nessuno aspettasse davvero le firme. In questo modo il i promotori dei referendum sono i consigli regionali, nelle persone dei consiglieri delegati. Che su nove regioni a maggioranza di centrodestra sono tutti consiglieri leghisti, sia i titolari che i supplenti. Con l’eccezione della delegazione della Sicilia che però guarda caso, si legge nelle sei ordinanze dell’ufficio centrale per il referendum della Cassazione depositate il 26 ottobre, non sono stati ammessi per errori formali. Il pallino, dunque, lo ha in mano Salvini. Che ieri si è presentato a Roma al congresso degli iscritti italiani del partito radicale e si è seduto accanto a Turco. Spiegando, in codice, come sono andate veramente le cose.
«Raccogliere le firme in estate in tempo di Covid – ha detto – è stata una fatica immane. Ho ancora l’incubo dei moduli, delle pec, dei certificati. È stata comunque un’esperienza. Io bado alla sostanza e se non c’è la forma vorrà dire che ci sarà la prossima volta». La forma, verosimilmente, è quella che radicali e leghisti hanno stressato per un’intera estate e mezzo autunno: l’adesione popolare alla loro proposte sulla giustizia. La sostanza è che i referendum si faranno lo stesso (se la Corte costituzionale darà a tutti l’ok) e che i promotori hanno capito alla fine che era meglio non consegnare i plichi alla Cassazione per i controlli. «Turco ha regalato il referendum a Salvini – spiega una fonte del partito radicale che ha partecipato al lancio dei referendum – la Lega ha l’organizzazione, ma non ha l’esperienza nella raccolta delle firme. E così, nelle ultime ore, si saranno accorti che era meglio non farsi bocciare i moduli dalla Cassazione e i radicali sono rimasti spiazzati». Fregati. Proprio sui referendum.
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