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Senza colpevoli il disastro della Prestige

Senza colpevoli il disastro della PrestigeDicembre 2001, pescatori recuperano il petrolio versato dalla Prestige – Reuters

Spagna La sentenza archivia il caso della petroliera che riversò in mare 70mila tonnellate di greggio. La più grave catastrofe ecologica del Paese

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 14 novembre 2013

Più di 70mila tonnellate di greggio riversato in mare, 2.900 chilometri di costa e 1.177 spiagge contaminate. Questi sono i numeri della più grave catastrofe ambientale della storia di Spagna (e tra le più gravi su scala europea), che, però, è stata archiviata senza colpevoli. Dopo undici anni esatti dal naufragio della petroliera Prestige, ieri è stata resa pubblica la sentenza che ha assolto gli unici tre imputati per il disastro ecologico avvenuto nel 2002 al largo delle coste della Galizia (nel nord-ovest del paese). Nessuna condotta colposa, dunque. Né del capitano della nave (il greco Apostolos Mangouras, condannato solo per insubordinazione per essersi rifiutato inizialmente di far rimorchiare la nave); né del macchinista suo connazionale, Nikolaos Argyropoulos, né dell’allora direttore generale del Dipartimento della marina mercantile spagnola José Luis López-Sors, unico imputato tra le fila della pubblica amministrazione.

Sulla decisione dei giudici avrebbe pesato la supposta reversibilità del danno causato dalla marea nera e il fatto che l’incidente non abbia provocato vittime umane. Per i giudici del tribunale de La Coruña, l’area colpita (le coste del nord della Spagna, quelle del Portogallo settentrionale e della Francia occidentale) sarebbe stata «recuperata totalmente e rapidamente sia dal punto di vista economico sia da quello ambientale». Inoltre, nel corso del processo non si sarebbe potuto «dimostrare la persistenza» del danno ecologico, stimato tuttavia dai periti intorno ai 4,3 miliardi di euro. Una cifra che (eccezion fatta per i 22 milioni di euro depositati dagli assicuratori inglesi della petroliera subito dopo l’affondamento a copertura della responsabilità civile) nessuno risarcirà, dato che anche l’amministrazione pubblica spagnola – al tempo stesso imputata e parte lesa nel processo – è uscita senza colpe dalla vicenda, che peraltro non è isolata. La marea nera, infatti, aveva già lambito le coste galiziane in ben altre due occasioni prima dell’affondamento della Prestige. In questi casi lo stato fu chiamato a mettere mano al portafogli per risarcire i danni ambientali causati dall’incidente della petroliera Mar Egeo del 1992 e quello dell’Urquiola che, nel 1972, rovesciò in queste stesse acque addirittura 100.000 tonnellate di greggio.

Secondo i giudici, più che dalla negligenza dell’equipaggio e dagli errori strategici nella gestione dell’emergenza (definita «efficace» nonostante le polemiche che sollevò undici anni fa), l’affondamento della Prestige sarebbe stato provocato «dal cattivo stato di conservazione dello scafo», che all’epoca dei fatti aveva 26 anni. Una responsabilità che la sentenza ascrive all’American Bureau of Shipping, la società privata statunitense che concesse alla petroliera il permesso di navigazione.

La sentenza lascia comunque molte questioni aperte e sembra destinata a far discutere: «Non è stata fatta giustizia», ha commentato il legale di Nuncamáis («mai più» in galiziano), la piattaforma di ecologisti costituitasi subito dopo l’incidente del 1992 che fece affondare la petroliera Mar Egeo con il suo carico di 80.000 tonnellate di greggio. All’avvocato dell’associazione, che si è costituita parte civile, è soprattutto l’assoluzione dell’alto funzionario José Luis López-Sors a non andare giù. Per lui il pubblico ministero aveva chiesto 5 anni di reclusione: «La decisione dei giudici è incoerente, perché non punisce l’operato della pubblica amministrazione, che prese – com’è stato dimostrato – una decisione errata ordinando alla nave di allontanarsi dalla costa». Di tutt’altro parere la sentenza che parla invece di una decisione «ragionevole», anche se resta il fatto che la Prestige, a cui fu vietato l’ingresso in porto dalle autorità costiere, navigò in alto mare per sei giorni senza rotta, perdendo petrolio dalle cisterne, prima di spezzarsi in due e colare a picco a 250 chilometri al largo Finisterre il 19 novembre del 2002. Un tempo lunghissimo durante il quale una maggiore tempestività e una differente strategia d’intervento avrebbero potuto, secondo il parere di molti esperti, evitare il disastro. Sulle incertezze nella gestione del salvataggio pesarono anche il protrarsi delle negoziazioni tra lo stato spagnolo, l’armatore greco, la proprietà e il capitano, che fino all’ultimo hanno cercato di evitare la dispersione del carico, del valore di 60 milioni di euro.

A giudizio del legale di Nuncamáis, Pedro Trepat «questa sentenza avalla la condotta del governo di allora, guidato dal conservatore José María Aznar, e fa sì che in casi simili altri governi abbiano carta bianca nella gestione di analoghe emergenze ambientali». In altre parole, «è una sentenza politica».

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