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«Sentimenti dell’aldiqua», la natura umana a prezzi di mercato

«Sentimenti dell’aldiqua», la natura umana a prezzi di mercatoBotto&Bruno, da «Waiting for the last bus», 2016

Saggi Nel 1990, edito da Theoria, un libro di analisi filosofico-politiche scalò le classifiche fino a conquistare il primo posto assoluto: un volume corale, riedito da Derive Approdi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Alla fine degli anni Ottanta un gruppo di intellettuali originali e coraggiosi – Paolo Virno, Massimo De Carolis, Marco Bascetta, Franco Piperno, Augusto Illuminati, Domenico Starnone, Andrea Colombo, Lapo Berti, Lucio Castellano, Alessandra Castellani, Massimo Ilardi, più la voce dissonante di Rossana Rossanda – si cimenta in una impresa nient’affatto scontata: riflettere sulle trasformazioni che avevano segnato il decennio della controrivoluzione neoliberale, il tempo della sconfitta dei movimenti operai. Ne viene fuori un volume collettivo e corale intitolato Sentimenti dell’aldiqua Opportunismo, paura, cinismo nell’età del disincanto, pubblicato nel 1990 da Theoria. È un vero e proprio caso letterario, che con gli occhi di oggi sembra tanto inverosimile da apparire fantascientifico: un libro di analisi filosofico-politiche che scala le classifiche di vendita fino a conquistare il primo posto. Il primo posto assoluto, non quello della saggistica! Un bestseller poi scomparso: negli anni successivi se ne perdono le tracce, fino a che non diventa introvabile persino nelle librerie d’occasione. Da qualche settimana Sentimenti ha una nuova vita grazie all’editore bolognese DeriveApprodi, che ha deciso di ripubblicarlo in una edizione (pp. 176, euro 17,00) a cura di Marco Mazzeo (autore di introduzione e postfazione).

Dall’opportunismo alla flessibilità
Viene spontaneo chiedersi perché dare nuovamente alle stampe un volume che medita su un decennio così lontano, perché rimettere in commercio, con un ritardo di oltre trent’anni, quello che oggi si chiamerebbe un «instant book». Tanto ovvia la domanda, tanto più sorprendente la sensazione che si prova leggendo gli undici saggi che lo compongono: l’impressione è che parli dell’oggi, del nostro tempo, che poco sia cambiato dall’epoca storica in cui il libro vide la luce. In altri termini: i protagonisti di questa indagine – paura, cinismo e opportunismo – non sembrano ancora passati di moda. Sono «sentimenti tutt’altro che sentimentali» – scrive Mazzeo, affetti da non ricercare (solamente) nella psiche dell’individuo, «modi di essere e di sentire così pervasivi da risultare comuni ai più diversi contesti di esperienza, al tempo di lavoro come a quello detto “della vita”» (Virno).

L’ipotesi di fondo è radicale: le trasformazioni storiche del sistema produttivo retroagiscono sull’esistenza degli individui e contribuiscono a plasmarne la forma, a delineare i contorni di azioni e passioni. E viceversa, oltre a riguardare la vita dei singoli, quei sentimenti sono a loro volta parte integrante della produzione, ingranaggi della macchina che tramuta la forza lavoro in valore economico. L’opportunismo, per esempio, è una delle qualità più richieste sul mercato del lavoro (con pudore truffaldino oggi lo si chiama «flessibilità»): fondamentale avere confidenza con le contingenze e saper cogliere il momento propizio. Si pensi ai rider di Amazon, sempre all’erta per trovare escamotages che accorcino i tempi di consegna; o ai precari dell’istruzione, disposti all’occorrenza a vestire i panni dell’insegnante di sostegno, del docente di liceo, del professore delle scuole medie.

L’attualità di Sentimenti non sta solamente nell’avere messo a fuoco alcune modalità dell’esperienza che tutt’ora hanno un ruolo di primo piano, ma anche nel piglio con cui guarda a quei fenomeni. Un piglio per nulla schizzinoso, che porta gli autori a cimentarsi con la vita quotidiana nella sua banalità, perché anche – se non soprattutto – lì c’è da imparare per chi volesse «cogliere il proprio tempo con il pensiero». E dunque possiamo leggere delle evoluzioni del cinema hollywoodiano degli anni Ottanta (Colombo), oppure dell’architettura della metropoli (Castellani, Ilardi), ma anche dell’ecologismo alle sue origini (Castellano). Troppo facile – e in fondo reazionaria – la condanna del presente in nome di un passato da guardare con fiacca nostalgia.

Diametralmente opposta al proverbio «si stava meglio quando si stava peggio», la postura concettuale del libro si può riassumere in una frase di Benjamin, che potrebbe fungere da esergo: «una totale mancanza di illusioni nei confronti dell’epoca e ciononostante un pronunciarsi senza riserve per essa». Guardare in faccia il proprio tempo anche nei suoi lati oscuri e ciononostante accoglierlo senza remore, con l’obiettivo di trovare, in quelle ombre, barlumi inaspettati e squarci da esplorare.

La parola chiave è ambivalenza: si tratta di andare a caccia del potenziale di cambiamento nascosto in quei fenomeni, di non fermarsi alla prima impressione e provare a intravedere «un nocciolo neutro – scrive Virno – da cui possono scaturire sia l’ilare rassegnazione, l’abiura inesausta e l’integrazione sociale, sia inedite istanze di trasformazione radicale dell’esistente».
La posta in gioco, per un «pensiero critico» all’altezza dei tempi, è «radicalizzare» le tensioni sociali e convertire – dice De Carolis – «l’ambivalenza in conflitto aperto». E quindi il cinismo, cioè l’esibito distacco da qualsiasi sistema di norme o valori sociali, può prendere le distanze anche dall’attuale modo di produzione, piegandosi a strumento di lotta contro il capitalismo neoliberale; di pari passo l’opportunista può, per una volta, lasciar perdere la chance di arricchimento individuale e cogliere il momento giusto per far emergere istanze collettive.

Militare per il qui e ora
Purtroppo le cose sono andate diversamente da come speravano gli autori alla fine degli anni Ottanta, cosa che rende ancora più urgente uno sforzo di comprensione del presente non moralistico o reazionario, ma attento ai capovolgimenti possibili. È quello che fa Marco Mazzeo nella postfazione, che impreziosisce il volume con un affondo sui sentimenti del nostro aldiqua, sulle tonalità emotive del terzo decennio del XXI secolo. L’impressione è che a cinismo, paura e opportunismo si siano aggiunti una serie di abiti etici di cui è ancora più difficile scorgere l’ambivalenza: stress, disattenzione e complotto.
Oggi più che ieri è esibito in piena luce un tratto di fondo della condizione umana, come se l’epoca del capitalismo digitale amplificasse al massimo quello che in altre circostanze è un basso continuo: il ruolo centrale della tecnologia nell’organizzazione della vita, tanto nel campo della produzione, quanto in quello degli affetti.

Nel mondo contemporaneo «lo stress è in primo luogo infostress», sovrabbondanza di contenuto informativo volto a catturare l’attenzione – e a produrre ricchezza – attraverso dispositivi che innervano capillarmente le singole vite. Non sorprende allora che ci sia un profluvio di teorie del complotto, figlie della difficoltà di tenere dietro a un’esplosione di contenuti che si trasforma in rumore di fondo. Imbrigliato in un’impotenza carica di risentimento, il cospirazionista trova consolazione in costruzioni teoriche bislacche e improbabili, e tuttavia il suo pensiero e le sue azioni paranoidi, «proprio perché caricatura del pensiero filosofico e dell’azione politica» testimoniano, loro malgrado, una via d’accesso a una critica dell’esistente. La scommessa è che la caricatura si trasformi in rappresentazione duttile e realistica, che sterili complottismi cedano il passo a nuove forme di lotta e a più felici modi di agire e sentire.

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