Sempre umani questi Gorillaz
Note sparse Esce «Humanz» che segna il ritorno della super band guidata da Damon Albarn. Un album al solito fitto di ospiti e collaborazioni, stilisticamente perfetto e politicamente scorretto...
Note sparse Esce «Humanz» che segna il ritorno della super band guidata da Damon Albarn. Un album al solito fitto di ospiti e collaborazioni, stilisticamente perfetto e politicamente scorretto...
Dopo sei anni da The Fall tornano i Gorillaz, con il frontman dei Blur che anche questa volta è il grande direttore d’orchestra affiancato da un consistente numero di collaboratori per il quinto album, Humanz (Warner). Presentato la settimana scorsa ai magazzini Printworks di Londra, è uno dei dischi più attesi del 2017, e non poteva essere altrimenti, perché quando Damon Albarn decide un lavoro, oltre alla sperimentazione mette in campo la sua rubrica telefonica. Una schiera di vip nuovi e vecchi e il fido illustratore Jamie Hewlett (produzione con Remi Kabaka e The Twilite Tone) che, dopo aver superato i dissapori, ha disegnato i quattro cartoni dei video. All’appello dei feature ci sono: i rapper Da La Soul, Grace Jones, il giamaicano Popcaan, Pusha T, Kilo Kish, Anthony Hamilton, Noel Gallagher (ricordate la querelle fra Oasis e Blur? Acqua passata. Anzi no, il fratello Liam ha dichiarato che Noel con Damon si è trasformato in una ragazzina…) e altri nomi dispensati fra le 20 tracce del cd e le 26 della versione deluxe.
Se l’album The Fall aveva suscitato qualche perplessità, Humanz è invece stilisticamente impeccabile, un filo elettrico che attraversa tanti collegamenti dove affacciarsi; dall’hip hop al soul, dalla dance al r’n’b e, ovviamente, il pop. Eclettico sempre (pure troppo), Albarn ha riunito una scena trasversale per farci perdere ancora di più la bussola – come d’altronde quando tentiamo di interpretare cosa accade intorno a noi – con monadi che si ispirano allo stesso concept: la fine del mondo. Nulla di profetico, capiamoci, ma una presa di coscienza frutto dell’esplorazione. Il disco era stato anticipato a gennaio nel giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca dal singolo Allelujah Money – sicuramente uno dei brani più riusciti dell’album – in cui Albarn duetta con il giovane fenomeno britannico Benjamin Clementine. Nello sfondo del video curato dall’italiano Giorgio Testi, c’erano riferimenti all’opulenza dorata delle Trump Tower, un chiaro segnale di come anche Humanz sarebbe stato schierato, pure se poi ogni riferimento diretto agli ultimi eventi della politica (Albarn ha per esempio criticato apertamente la Brexit) è stato eliminato in cambio di un prodotto dal respiro più ampio, meno storicizzato ma pur sempre impegnato nei testi.
Una sorta di playlist da dove emergono brani come Charger con Grace Jones, un potente antidoto all’isolamento, o Saturnz Barz in cui la musica fa uscire dal ghetto ma potrebbe uccidere: «The system force mi/Fi be a killer just like Rodney Price». Busted and Blue è il brano dove Albarn si prende uno spazio tutto per sé, che da un canto di grilli si espande nel vasto cielo della malinconia britannica. We Got the Power è fra gli ultimi brani con la voce della cantante Jehnny Beth dei Savages e Gallagher, un monumento britpop, intenso e ballabilissimo. E visti i tanti spunti del disco, si potrebbe dire, terminato di ballare sarebbe ora di rimboccarsi le maniche.
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