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Semplificazioni, sempre più difficile

Semplificazioni, sempre più difficileGiuseppe Conte e Roberto Gualtieri – LaPresse

Misure tampone Oggi in commissione al Senato si comincia a votare il decreto. Presentati 2.800 emendamenti, più della metà dalla maggioranza

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 26 agosto 2020

Per involontaria ironia della sorte non c’è nulla di meno semplice, nel percorso a ostacoli che metterà alla prova la politica economica del governo nelle prossime settimane, del decreto battezzato «Semplificazioni». Si comincia a votare oggi in commissione al Senato. Gli emendamenti arrivati sono circa 2800 oltre metà dei quali presentati non dall’opposizione ma dalla maggioranza. Non potrebbe darsi segnale più chiaro di quanto profondo sia il dissenso interno alla stessa maggioranza in materia, al punto che una decina di giorni fa la capogruppo di Leu Loredana De Petris era stata caustica: «Quel decreto andrebbe ritirato».

SE NON A FARLO RITIRARE, buona parte della maggioranza mira a revisionare radicalmente alcuni punti chiave. Uno dei principali, bocciato apertamente dalla Corte dei Conti perché «non aiuta la ripresa e rischia di danneggiare l’economia», è la cancellazione della «colpa grave» dei dirigenti in caso di danno erariale. E’ uno dei passaggi più critici, insieme all’articolo 10, di fatto una deregolamentazione edilizia che abbatte i vincoli paesaggistici: «Semplificare è una cosa. Liberalizzare col rischio di far saltare anche le tutele minime del territorio un’altra», spiega il senatore di Leu Francesco Laforgia. Il tetto di 150mila euro sotto il quale gli appalti procederebbero per affidamento diretto è poi considerato eccessiva e probabilmente verrà abbassato. I punti dolenti verranno certamente ritoccati ma non è affatto certo che la revisione basti a garantire un percorso facile per il più discusso e discutibile tra i decreti varati dal governo nel corso dell’emergenza Covid. Soprattutto perché il problema, oltre e più che nei singoli articoli, sta in una impostazione di fondo che non si discosta affatto da quelle dei governi precedenti, inclusa la famigerata legge Lunardi sulle grandi opere del governo Berlusconi.

SEMPRE OGGI E ANCORA al Senato verrà incardinato il decreto Agosto, l’ultimo dei tre decreti in deficit varati dal governo per un totale di 105 miliardi. Il termine previsto per la presentazione degli emendamenti dovrebbe essere tra il 10 e il 12 settembre. I relatori saranno Daniele Manca, del Pd, e Vasco Errani, di Leu.

Qui lo scontro sarà soprattutto con le opposizioni, che accusano il decreto di distribuire fondi a pioggia. «Si moltiplicano i grilli parlanti che nella maggioranza prendono le distanze dalle politiche assistenziali del governo. Li aspettiamo per bocciare insieme a noi queste prebende elettorali», sfida la capogruppo azzurra Anna Maria Bernini.

IN REALTÀ IL DECRETO Agosto, come i precedenti, ha una funzione proprio di assistenza e ristoro. La prova difficile degli investimenti strategici e delle riforme lungimiranti arriverà quando si tratterà di stanziare gli oltre 200 miliardi del Recovery Fund e, prima ancora, con la prossima legge di bilancio. L’obiettivo del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è tanto ambizioso quanto arduo: una manovra di 25 miliardi, stavolta senza ricorrere al deficit e senza nuove tasse nonostante si debbano finanziare sia il cosiddetto «bonus Renzi» in vigore già da luglio sia gli aiuti per le famiglie, ma al contrario avviando una radicale riforma fiscale. Per l’eventuale taglio dell’Irpef, nei conti del ministero, resterebbero una decina di miliardi, del tutto insufficienti per una riforma radicale. Il primo passo potrebbe essere però un riordino, come annunciato ieri in un’intervista dal direttore dell’Agenzia per le entrate Ruffini.

E’ UN PERCORSO a ostacoli, per non dire di guerra, anche perché pesano due incognite potenzialmente deflagranti: la crisi sociale, che inizierà a essere avvertita davvero nei prossimi mesi, e la bomba Mes, tutt’altro che disinnescata. Dopo che la commissione europea ha proposto di stanziare per l’Italia circa un terzo del fondo Sure per la disoccupazione, 27,4 miliardi in debito e che dovranno essere preventivamente non solo approvati ma anche parzialmente coperti dagli stati membri, si sono ieri moltiplicate le pressioni del Pd per abbattere il veto dei 5 Stelle sul prestito Mes. «Conte deve esprimere una posizione. Basta equivoci»: il capo dei senatori Pd Andrea Marcucci tenta la strada dell’intimazione. Per Conte, si sa, più tardi si esce «dall’equivoco» e meglio è. Ma di tempo per ulteriori rinvii ne è rimasto poco e al massimo in un paio di mesi il nodo andrà sciolto.

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