Sel: “Articolo 18 pieno e massimo sei tipi di contratto”
Jobs Act Il partito guidato da Vendola presenta 350 emendamenti e una pregiudiziale di costituzionalità: "No a deleghe in bianco per ridurre i diritti". Tornare alla formulazione della giusta causa pre-Fornero
Jobs Act Il partito guidato da Vendola presenta 350 emendamenti e una pregiudiziale di costituzionalità: "No a deleghe in bianco per ridurre i diritti". Tornare alla formulazione della giusta causa pre-Fornero
Sono 689 gli emendamenti presentati al Jobs Act in Senato, e la parte del leone la fanno soprattutto Sel e Cinquestelle, che insieme totalizzano più di 500 proposte di modifica. Il partito guidato da Nichi Vendola, oltre a un nutrito pacchetto di emendamenti (350), ha deciso di avanzare una pregiudiziale di incostituzionalità, per violazione dell’articolo 76 della Costituzione (prescrive che la delega al governo deve contenere la «determinazione di principi e criteri direttivi»). Inoltre, sempre sul piano della (contestata) costituzionalità del testo, si chiedono «certezze sugli stanziamenti necessari a realizzare la riforma e l’indicazione delle coperture per le spese previste».
Secondo la senatrice Loredana De Petris non è accettabile una «delega in bianco che riduce seccamente le tutele». Sel definisce «un abominio» il testo, e il deputato Giorgio Airaudo afferma che «nell’ottica della riduzione del danno, siamo disposti anche ad appoggiare proposte della minoranza del Pd». Utile ricordare che il Pd, nel complesso, ha presentato 31 emendamenti, ma sono 7 quelli della minoranza “critica” del partito.
Tra gli emendamenti di Sel, la riduzione a 5, massimo 6 delle tipologie contrattuali, l’abolizione delle «tutele crescenti in base all’anzianità» (perché sarebbe incostituzionale differenziare i diritti su questi criteri) o in subordine prevedere che il periodo senza garanzie sia al massimo di 6-12 mesi. «Tre anni di prova sono tantissimi. Se fossero 12-18 mesi sarebbe già un lusso», dice Airaudo.
Sel chiede poi di tornare all’articolo 18 come era nella forma originaria dello Statuto del 1970 (senza cioè tutte le specifiche introdotte dalla riforma Fornero, che hanno complicato enormemente le cause) e di estenderlo anzi a tutte le dimensioni di impresa. Su questo punto, come d’altronde sul periodo di prova più breve, si notano le differenze rispetto alle proposte della minoranza Pd, che invece ha assestato il periodo senza articolo 18 ai primi 3 anni di contratto.
Ancora, Sel chiede di abolire l’articolo 8 varato nel 2010 da Berlusconi e Sacconi, quella norma cioè che consente deroghe al contratto nazionale. Altri emendamenti chiedono ammortizzatori per tutti i lavoratori, l’introduzione del reddito minimo garantito, la possibilità di rivedere le mansioni solo a parità di salario e forti limiti al lavoro accessorio. Un netto no all’uso delle telecamere per videosorvegliare le prestazioni dei lavoratori.
Un’altra richiesta è quella di varare una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro – pallino della Fiom di Maurizio Landini e tema già oggetto di un accordo interconfederale tra Cgil, Cisl e Uil. A sostenere in particolare questo punto è infatti proprio Airaudo, ex metalmeccanico Cgil: «In questo modo permetteremo ai lavoratori di riformare il sindacato», spiega il deputato.
«Renzi è una pallida replica di Monti: quest’ultimo ci aveva detto che riducendo il reintegro sarebbero arrivati gli investitori esteri, ma chi li ha mai visti?», chiede ironicamente Airaudo.
Nicola Fratoianni, coordinatore di Sel, chiede al governo e alla maggioranza «una discussione vera e non un braccio di ferro o la minaccia di un decreto». Poi si appella al capo dello Stato e al premier Renzi: «Siano assicurate tutte le garanzie costituzionali, visto che la delega non rispetta quei principi che dovrebbe avere e non si può intervenire per decreto in una materia come quella del lavoro».
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