Sei un voucherista? Se ti va bene avrai 200 euro di pensione
Lavoro usa e getta Rapporto Inca Cgil: chi è retribuito con i ticket si trova in fondo alla piramide del precariato. Meno tutele di partite Iva e collaboratori. La polemica sui 50 centesimi richiesti dall’Inps per il servizio. Cgil: cosa pagano di preciso?
Lavoro usa e getta Rapporto Inca Cgil: chi è retribuito con i ticket si trova in fondo alla piramide del precariato. Meno tutele di partite Iva e collaboratori. La polemica sui 50 centesimi richiesti dall’Inps per il servizio. Cgil: cosa pagano di preciso?
Per i voucheristi è allarme pensione. Se un assegno previdenziale dignitoso, con il sistema contributivo, è già una chimera per tanti che si arrabattano tra contratti a termine, collaborazioni e partite Iva, se andiamo a guardare chi lavora esclusivamente con gli ormai famigerati ticket sembra quasi impossibile anche solo ipotizzarlo, un reddito da vecchiaia. La denuncia viene dall’Inca Cgil, che nel rapporto Voucher: “buoni” per oscurare lavoro e tutele traccia previsioni drammatiche: il futuro assegno pensionistico dei voucheristi sarà in media di 208 euro mensili, meno della metà della pensione sociale (circa 500 euro). La Cgil, presentando i dati, ha aperto poi un nuovo fronte polemico contro l’Inps: 50 centesimi per ogni buono acquistato vanno all’ente guidato da Tito Boeri, ma non concorrono a coprire contributi. Si tratta di una specie di «aggio», attacca il sindacato, una commissione (piuttosto alta, pari al 5%) paragonabile a quella pretesa da Equitalia.
IMPIETOSO IL CONFRONTO tra l’assegno dei voucheristi e quello di quattro altre categorie del variegato panorama italiano. Ipotizzando un reddito annuale lordo di 9.333 euro (la soglia massima consentita per i percettori di ticket, pari a 7 mila euro netti), l’importo medio della futura pensione del voucherista sarà pari a 208,35 euro: pari cioè a circa la metà di quella di un lavoratore a partita Iva (402,52 euro), e nettamente più bassa di quella di un collaboratore (526,15 euro), di un dipendente part time (528,89), di un lavoratore agricolo (1019,98). E nota bene: si sono scelte tipologie già in fondo alla piramide dei redditi, quindi il voucherista sta proprio sotto terra: all’inferno.
Ultimo tassello del quadro, già disastroso: per maturare il requisito minimo di 20 anni di anzianità contributiva il voucherista – come il titolare di partita Iva e il collaboratore – deve lavorare per almeno 35 anni. Infatti, con un reddito di 9.333 euro «copre» solo 7 mesi di contribuzione. Gli appartenenti alle tre categorie non potranno comunque andare in pensione prima dei 70 anni.
NON PARLIAMO DI tutele come la malattia, la maternità, l’invalidità, la reversibilità: se collaboratori e partite Iva, dopo anni di proteste, in qualche modo le hanno conquistate, i voucheristi sono i paria dei paria. Semplicemente non hanno nulla di tutto questo. Riscuotendo i 7,50 euro per ogni ticket magari ti riuscirai a pagare pranzo e cena – qualche bolletta se proprio vogliamo stare larghi – ma se ti ammali o se fai un figlio per il tuo datore di lavoro e per lo Stato non esisti più: fai spazio, avanti un altro, sarà lui a ritirare il salario dal tabaccaio.
L’INFORTUNIO formalmente è coperto (0,70 centesimi del buono vanno all’Inail, mentre 1,30 euro vanno all’Inps per le prestazioni previdenziali), ma di fatto – denuncia la Cgil – non è così: in genere le imprese non denunciano gli infortuni e corrono ai ripari solo quando l’incidente è grave e, dunque, non camuffabile con una semplice malattia (per la quale, è bene ricordarlo, non c’è tutela alcuna). Nell’aprile 2016 l’Inail ha lanciato un allarme sottolineando come quasi sempre il pagamento del primo voucher coincida con il giorno della denuncia di infortunio da parte dell’impresa, senza essere preceduto insomma da alcun tipo di rapporto di lavoro: gli imprenditori lo tirano fuori dal cassetto quando è necessario a coprire con una pezza attività prestate in nero.
Quanto ai dati generali, l’Inca ha ricordato che l’anno scorso sono stati riscossi 133,8 milioni di voucher (142 milioni quelli venduti), in netto aumento rispetto ai 115 milioni del 2015 (+23,9%). Il trend si è rallentato dopo la «tracciabilità» introdotta da Poletti a fine 2016 (il dato di gennaio parla di una crescita del 3,9%), ma la previsione per quest’anno – secondo Fulvio Fammoni della Fondazione Di Vittorio della Cgil – potrebbe sfiorare i 150 milioni. La media di età, che nel 2008 era di circa 60 anni (ed erano stati venduti solo 500 mila voucher: ma erano ancora attive tutte le rigide limitazioni della legge Biagi), oggi è scesa a 36 anni. Circa i due terzi vengono utilizzati dalle imprese, un terzo dalle famiglie. Dati che testimoniano che i buoni lavoro vengono usati per sostituire lavoro che potrebbe essere contrattualizzato.
PRESENTANDO la ricerca dell’Inca, la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha ripetuto la richiesta al governo di fissare una data per il referendum. Infine, dopo mesi di botte e risposte con Tito Boeri (conclusi con la consegna della famosa lista delle 200 aziende che utilizzano i voucher, di cui il manifesto ha pubblicato la prima quindicina) si è aperto il nuovo fronte polemico con l’Inps: chiarisca a cosa servono i 50 centesimi che mette in cassa per ogni ticket venduto: nel 2016, solo questa voce ha generato 67 milioni di euro di incassi per l’Inps.
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