Lavoro

Sei precario? L’Inps ora ti chiede un maxi rimborso

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Il caso Centinaia di lettere ai cococò della scuola, agli assegnisti e ai dottorandi. L’«una tantum» istituita da Berlusconi erogata per errore. Nidil e Flc Cgil: 4 mila euro, come una cartella pazza

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 4 ottobre 2014

Che faccia avranno fatto i precari che negli ultimi mesi hanno ricevuto una letterina dall’Inps con la richiesta di rimborsi a tre zeri? Possiamo solo immaginarcela: l’ultima beffa di uno Stato che si accanisce contro di loro, costringendoli ad anni di cococò, impieghi saltuari e disoccupazione, senza uscita. Adesso tocca all’istituto di previdenza, che chiede la restituzione delle indennità una tantum, erogate per la disoccupazione, a partire dal 2009: ha sbagliato e si scusa, ma i soldi devono tornare indietro.

«Si tratta di centinaia di lettere, partite sin dal gennaio di quest’anno», denunciano Nidil e Flc Cgil, i sindacati che tutelano i lavoratori atipici e quelli della conoscenza. Gli importi richiesti – quasi delle “cartelle pazze”, ancor più allarmanti perché recapitate a dei precari – sono in media di 4 mila euro. Davvero una bella botta.

I lavoratori coinvolti si concentrano nel pubblico impiego: sono precari della scuola, assegnisti di ricerca, dottorandi. Hanno un passato (e spesso ancora un presente) da cococò, o sono disoccupati. Il collaboratore coordinato e continuativo, d’altronde, è una figura sopravvissuta solo nel pubblico (o per figure come i pensionati o i professionisti), mentre nel privato questa tipologia è stata ormai sostituita dal contratto a progetto, a sua volta regolato a maglie più strette dalla riforma Fornero.

«Dall’inizio del 2014  – spiegano Nidil e Flc Cgil – numerosi ex cococò, oggi precari o disoccupati, si sono visti recapitare a casa una lettera dell’Inps con la quale si chiede la restituzione della somma erogata “erroneamente” in precedenza (mediamente 4 mila euro). L’una tantum infatti esclude inspiegabilmente i collaboratori del pubblico impiego, ma a causa di una norma confusa e di dubbia interpretazione, molte sedi Inps negli anni passati hanno erogato il beneficio anche a tali lavoratori».

Insomma, diversi uffici locali dell’Inps hanno interpretato in maniera espansiva l’una tantum istituita a fine 2008 dal governo Berlusconi, allargando la platea dei beneficiari. Qualcuno a Roma deve essersene accorto, e ora si deve coprire un buco nei conti.

Nidil e Flc Cgil sono pronte a dare battaglia: hanno organizzato un flash mob, martedì alle 12,30 davanti a Montecitorio, e subito dopo incontreranno i giornalisti.

«È assurdo – affermano le due categorie Cgil – che a distanza di anni l’Inps pretenda la restituzione di un’indennità di disoccupazione che è già inadeguata ed escludente. Cogliamo l’occasione per chiedere che questa assurda distinzione fra lavoratori precari sia abolita quanto prima, e che gli ammortizzatori sociali siano garantiti a tutti, indipendentemente dalla tipologia contrattuale».

L’indennità una tantum fu istituita dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per tutelare i sempre più numerosi precari “falcidiati” dalla crisi (entrò a regime nel 2009). Fu criticata dal sindacato, in particolare dalla Cgil: non solo per l’esiguità degli stanziamenti, ma anche per i requisiti richiesti, del tutto cervellotici.

Era peraltro sperimentale, introdotta per gli anni 2009-2011, e fu poi sostituita da Aspi e mini Aspi del governo Monti. A fine 2011, proprio a causa dei requisiti troppo restrittivi, era stato utilizzato solo il 17% dei fondi, con l’83% che restava intatto (34 milioni erogati a fronte di 200 milioni stanziati).

I requisiti: dovevi essere cocoprò del lavoro privato (escluso appunto il pubblico), ed aver avuto una mono-committenza (ma tanti precari per sbarcare il lunario devono sommare più impieghi). Il reddito dell’anno precedente doveva essere non superiore ai 20 mila euro e non inferiore ai 5 mila; e il contratto doveva essere scaduto da almeno due mesi, ma dovevano risultare versati almeno 3 mesi di contributi nell’anno precedente e uno in quello in corso.

Facile capire come su 42.550 domande presentate a fine 2011, solo 13.197 erano state ammesse, con un tasso di bocciatura che aveva raggiunto il tetto del 69%. E ora, a parecchi di quei pochi che ebbero la fortuna di accedere all’indennità, la beffa della letterina Inps.

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