«Sei ancora tu», Chiara Caterina e lo sguardo che dà forma al corpo
Film Dalla performance «Party girl» di Francesco Marilungo, una contaminazione filmica per sperimentare le prospettive sul femminile
Film Dalla performance «Party girl» di Francesco Marilungo, una contaminazione filmica per sperimentare le prospettive sul femminile
La complessa ma affascinante sfida di trovare un’intersezione, o forse un terreno inesplorato dove il cinema e le arti sceniche si possano dare convegno, è al centro del cortometraggio di Chiara Caterina Sei ancora tu presentato lo scorso giugno alla Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. È l’ultima tappa di un percorso iniziato in seno a Filmmaker Festival, che ha inaugurato la sezione Teatro sconfinato proprio per aprire uno spazio di sperimentazione e contaminazione che non si accontenti di documentazione e adattamenti, ma che cerchi di cogliere un incontro/scontro nei processi visti in filigrana, nelle loro condizioni di possibilità. In un’intervista rilasciata a Pesaro, Caterina ha dichiarato: «Tra linguaggio teatrale e cinematografo la differenza sta nello sguardo: è fisso e appartiene solo allo spettatore a teatro, mentre al cinema è mobile e si fonde con quello del regista». Uno spunto interessante considerando che il corto e la performance che insegue, ovvero Party girl di Francesco Marilungo, si interrogano innanzitutto su quale effetto produce lo sguardo sui corpi, su come li configura e li limita.
Girato per lo più in 16 mm durante una sessione di prove a Pesaro, il film è anche un video racconto della permanenza di Caterina nella città. Le insegne degli alberghi si rispecchiano in se stesse nel malinconico abbandono della località marittima durante l’inverno, con il loro design posticcio anni ’90 rimandano idealmente ai non-luoghi della prostituzione ripresi da Marilungo e mostrati su alcuni televisori in scena. Le lenzuola di quelle stanze di passaggio sono animate quanto i corpi delle tre danzatrici, Barbara Novati, Roberta Racis e Alice Raffaelli. Attraverso l’occhio della macchina i loro movimenti risultano ancora più innaturali nelle ripetizioni, in una temporalità che si fa incerta: tra la grana retrò della pellicola e l’abbigliamento vintage, sembrerebbe di trovarci nel sogno proibito di qualcuno destinato a dissolversi di lì a poco, un materiale privato riemerso e giunto fino a noi. Rimescolando le linee audio e video — un’altra specificità filmica rispetto allo spettacolo dal vivo — il voiceover sembra qui scandire i ritmi, i tagli della ripresa piuttosto che gli atti delle performer, cambiando quindi posizione e funzione.
Irrompe infine Ancora tu, la canzone di Lucio Battisti che dà il titolo al film, con la potente e melodiosa voce di Roberta Racis. Attraverso i fotogrammi però si direbbe che il canto non appartiene più a nessuno, così come sono venuti meno i nomi propri continuamente ripetuti nella performance. La macchina allontana, universalizza, innalza e abbassa allo stesso tempo l’unicità della presenza. «I know she wants more than a party, party girl» cantavano gli U2 quasi quaranta anni fa, che fa il paio con quel «no, lasciarti non è possibile». Come sarebbe la vita fuori da quello sguardo maschile? Cosa diventerebbe la prostituzione? Queste e tante altre domande rimbalzano negli ultimi minuti del film in cui viene mostrato ciò che rimane programmaticamente fuori dal palcoscenico. Le tre interpreti sono finalmente libere dai compiti e dai dettami, sorridendo emerge la loro complicità sul bagnasciuga di Pesaro in una giornata d’inverno.
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