Sul dato dell’esperienza e sul filo della smaterializzazione Tino Sehgal (Londra, 1976) gioca il suo azzardo performativo in un panorama artistico che invece tende a riprodurre, compendiare, rincorrere o prefigurare la realtà, oggettualizzandola. Sehgal, invece, annulla il feticismo dell’oggetto e tutta la iper-produzione artistica, per frugare i contenuti dell’esistere.

DI CIÒ TRATTA LA MOSTRA personale, inaugurata alle OGR di Torino (fino al 17 marzo), curata da Luca Cerizza. La emozionante performance che si avventurerà in un continuum liquido di «repliche» si svolge in maniera sghemba, penetrando intensamente nell’interiorità del fruitore e, in alcuni casi, smuovendone percorsi inconsci, sentimenti liminari, memorie e pulsioni individuali. Una esperienza inusualmente percettiva perché qui l’arte è vissuta come situazione sociale in cui spettatori e attori slittano di ruolo e sdrucciolano in quelle che Sehgal definisce «constructed situations». Una occasione rara di vivere l’arte nella sua utopia, soprattutto perché l’artista anglo-tedesco di padre indiano, rappresenta un unicum concettuale: esplora sentieri alternativi, che evolvono dal suo background formativo plasmato con gli studi di economia politica alla Humboldt University di Berlino e di danza alla Folkwang University of the Arts di Essen (danzando con le compagnie di Jérôme Bel e Xavier Le Roi).

BENCHÉ SEHGAL MANTENGA strenuamente un low profile è un artista di culto come può esserlo un David Foster Wallace in letteratura e un Luca Guadagnino nel cinema. Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2013 con Yet untitled, Sehgal vanta partecipazioni in diversi musei – dal Guggenheim Museum di New York allo Stedelijk Museum di Amsterdam (2006), fino alla Yokohama Triennale in Giappone (2008 e 2005), la nona edizione della Biennale de Lyon (2007), e Documenta 13, con la indimenticabile performance This Variation.
La sua scrittura visuale azzera i rituali classici della performance reiscrivendone il lessico, «scippa» alla danza la sua disciplina, capovolge l’economia nel suo trend e riabilita l’arte alla sua immaginazione. Contaminato dalle teorie economiche di John Kennet Galbraith, Sehgal è una vera rarità nel praticare e mantenere una critica costante al consumismo ossessivo e al marketing esasperato del sistema dell’arte da cui non si fa sopraffare. «I due più grandi errori del capitalismo moderno sono stati aver confuso il materialismo con la felicità e la crescita con il bisogno progressivo di beni materiali», afferma l’artista, paladino dell’economia sostenibile, in una delle sue inconsuete interviste. Per quanto paradossale e demodé possa sembrare oggi, Sehgal sposta la sua indagine dall’oggetto al soggetto, in una azione culturale che fa di se stesso una post-avanguardia.

NEL BINARIO 1 DELLE OGR di Torino Sehgal – dove la performance si svolge per un paio di trepidanti ore – una sessantina di partecipanti (disciplinati dall’autore con un lungo training durato mesi) fluttuano nella sala, simile a uno «sciame». Tino Sehgal è fuori scena, abbigliato come sempre nel suo imper nero e Nike grigio cenere, ai bordi del Binario 1, mentre segue pedissequamente l’azione.
A volte il gruppo, divenuto comunità effimera, opera spostamenti alternati, ora circolari ora longitudinali. Danze, passi, corse, salti e stasi provvisorie e mai ripetitive. Altre volte si scioglie individualmente. Altre volte in coppia, come nella rievocazione della famosa performance The Kiss. Questa volta, viene eseguita da due corpi maschili che si muovono al rallentatore, rotolandosi a terra in un bellissimo e infinito abbraccio, suggellato in un interminabile bacio che tende a riprodurre i più celebri baci della storia dell’arte (Canova, a Koons, Hayez, Rodin e Klimt). Si procede per «situazioni» e lo «sciame» dei partecipanti ricongiunto improvvisa dei mantra Humans! Humans! Humans! Nature! o ripercorre e si raccorda a Bruce Nauman e Dan Graham (di Instead of allowing some thing to raise up to your face dancing bruce and dan and other things)  o ancora, alla rielaborazione del progetto No Ghost Just A Shell di Philippe Parreno e Pierre Huyghe sul personaggio manga di An Lee, incarnandola fisicamente.
Alternanze di luci, fino a un repentino buio totale, staccano le varie fasi dell’azione. I partecipanti sconfinano nello spazio e ognuno si avvicina a uno spettatore (a caso) e face to face gli narra una sua storia, autentica e vissuta. Così il paradigma dell’arte si «smonta», l’opera è la «situazione» che intimamente si costruisce fra performer e fruitore che, a loro volta, escono dal ruolo predefinito. Sehgal cancella il medium dell’oggetto che generalmente interagisce tra i due corpi e va diretto alla sensazione improvvida e potente.

LA PERFORMANCE SI REPLICA da giovedì a domenica dalle 11 alle 18 e venerdì dalle 11 alle 20. A corollario di ciò, un giornale (supplemento di Alias) con interventi di Luca Cerizza, Hans Ulrich Obrist, Jorg Helser, i disegni di Diego Perrone e foto di Wolfang Tillmans contribuisce ad approfondire lo spessore sperimentale di un artista tanto potente e studiato quanto «invisibile» e schivo.
Le OGR, Officine Grandi Riparazioni, vasto complesso industriale di fine ’800 nel centro di Torino, abbandonate negli anni ’90 e ora riqualificate come spazio culturale promettono un ricco calendario durante il 2018: le mostre di Susan Hiller, Rokni Haerizadeh, Mike Nelson, la performance di Roberto Fassone, ma soprattutto un evento musicale: ∑(No,12k,Lg,18Ogr) New Order + Liam Gillick: So It Goes, il 5 maggio. Da non perdere.