Politica

Segnali di pace dall’Europa: «Con l’Italia non c’è un problema»

Segnali di pace dall’Europa: «Con l’Italia non c’è un problema»Jean-Claude Juncker – Lapresse

Lo scontro Palazzo Chigi resta all’attacco. La Commissione Ue, preoccupata per le ripercussioni sui mercati, prova a stemperare la tensione. Juncker: solo «un dibattito dai toni maschi e virili», che «non avrà conseguenze»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 21 gennaio 2016

Dopo giorni di braccio di ferro e tensioni crescenti, è la Ue a offrire la pace. Per Renzi, che non è arretrato di un passo in questi giorni, è un successo d’immagine che, nel gioco della politica, ha tutto il suo peso.

La giornata si era aperta con un’ennesima mossa d’attacco italiana, dopo la scelta di sostituire l’ambasciatore Sannino, graditissimo alla Commissione, con il sottosegretario Calenda, che non solo è invece un fedelissimo del premier ma è anche un politico e non un tecnico, in piena contravvenzione con il bon ton di Bruxelles. Prima ancora della formalizzazione del nuovo ambasciatore da parte del consiglio dei ministri, arriva il secondo colpo: un’interrogazione contro il capo di gabinetto di Juncker, Martin Selmayr, firmata da Nicola Danti, renziano doc.

L’accusa è pesante: Selmayr sarebbe «un canale privilegiato di informazione per le cancellerie di alcuni Stati membri». Una gola profonda. L’oggetto dell’attacco non è casuale. Il capo di gabinetto è la «fonte» dalla quale era partito martedì il nuovo attacco rivolto all’Italia, ed è lo stesso che due settimane fa ha messo alla porta il solo italiano che Juncker avesse voluto in squadra, Carlo Zadra. Ma l’elemento più dirompente è che quell’interrogazione è stata voluta direttamente da Matteo Renzi, e non è un segreto per nessuno. Vuol dire che il premier ha scelto di misurarsi sul piano muscolare: à la guerre comme à la guerre.
Sembra il prologo di un nuovo scontro all’arma bianca. Invece da Bruxelles iniziano ad arrivare segnali di pace uno via l’altro. Il principale lo lancia Juncker in persona: «Tra governo italiano e Commissione c’è un dibattito con toni maschi e virili, non un problema. E’ normale in democrazia e non porterà conseguenze». Macho l’uno, macho l’altro… Ma Juncker non si limita alle generali: «Non vedo rischi di una crisi bancaria importante», aggiunge, stemperando così la tensione su uno dei fronti incandescenti del confronto. Il calumet della pace più fumante però lo offre il commissario all’Economia Moscovici: «Non c’è nessuna guerra con l’Italia. Ora bisogna lavorare insieme a abbassare la tensione». E’ proprio un coro: anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz dichiara forte e chiaro che «l’Italia non è un problema. In politica le controversie sono normali».

Non si tratta solo di parole. Qualche passo avanti è stato fatto sul casus belli, i 3 miliardi per la Turchia. L’Italia chiede che l’esborso dei singoli Stati pesi sul bilancio comunitario. Juncker agita un ramoscello d’ulivo facendosi sapere pronto a non contare i fondi destinati alla Turchia nel patto di stabilità. Non è ancora la soluzione, ma un avvicinamento senza dubbio sì. Gozi, sottosegretario e alter ego di Renzi, incassa ed esulta: «Non temiamo ritorsioni. La nomina di Calenda dimostra che facciamo sul serio quando chiediamo un cambiamento. L’Europa deve tornare ad abituarsi al confronto».

Cosa ha spinto la Commissione, dopo aver lanciato l’affondo venerdì scorso, a ingranare adesso la retromarcia senza alcun segnale conciliante da parte italiana? Probabilmente le cifre da brivido di piazza Affari. Il crollo dei titoli bancari è una diretta conseguenza del conflitto in corso. Dovrebbe essere una pistola puntata alla tempia di Renzi, ma il problema, per Bruxelles, è che l’Unione, oggi, non può permettersi di spingere l’Italia verso il precipizio senza caderci a propria volta. Del resto è su questo che il giocatore d’azzardo Matteo Renzi punta sin dall’inizio.

La partita è tutt’altro che chiusa. I fronti nevralgici, anzi, sono tutti aperti: i fondi per la Turchia, l’inchiesta sui fondi all’Ilva, che è stata formalmente avviata ieri ma con raggio più limitato del previsto, la costituzione della bad bank. Ma soprattutto il capitolo dolente citato ieri a palazzo Madama dall’ex ministro Mauro Mauro: «L’Italia ha truccato i conti della legge di stabilità». E’ quel che ripetono tutti da settimane, il punto chiave da cui dipenderà la concessione o meno della flessibilità, e in quale misura. Si vedrà nei prossimi mesi. Ma ora Bruxelles sa che il premier italiano è pronto a sfidare l’abisso, avvertendo però che, nel caso, non sarebbe il solo a precipitare.

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