Seduta fiume alla camera, ma la riforma rallentata
Costituzione L'ostruzionismo consente di approvare solo due articoli in due giorni. Il Pd chiede la seduta fiume per impedire nuovi emendamenti, ma ne restano ancora troppi da votare. E i decreti incalzano
Costituzione L'ostruzionismo consente di approvare solo due articoli in due giorni. Il Pd chiede la seduta fiume per impedire nuovi emendamenti, ma ne restano ancora troppi da votare. E i decreti incalzano
Tre decreti in scadenza – uno, sulle banche popolari, interessa la Banca dell’Etruria, vicepresieduta dal padre della ministra delle riforme Boschi, ieri commissariata da Bankitalia. E l’aula della camera bloccata sul disegno di legge di revisione costituzionale, destinato a entrare in vigore tra tre anni ma che il governo vuole approvare (per mandarlo al senato) in pochi giorni. In 48 ore sono stati approvati due articoli, ne restano venti e tutti assai più delicati.
Merito dell’ostruzionismo di Sel, Lega e 5 Stelle; Forza Italia vota ormai contro la maggioranza, ma non partecipa al filibustering. Merito anche del regolamento della camera, che consente la presentazione di subemendamenti nuovi a ogni seduta e che, malgrado Renzi lo abbia minacciato via stampa amica, non permette di falcidiare gli emendamenti in serie (il cosiddetto canguro). Così il governo chiede la seduta fiume – un dettaglio che debba deciderla la presidenza di Montecitorio. Non ci potrebbero essere nuovi emendamenti, ma resterebbero da fare duemila votazioni. Fi e Lega ritirano i loro subemendamenti ma il Pd non molla la presa, in ogni caso l’approvazione finale slitterebbe a inizio marzo. Ai deputati di minoranza non viene restituita la possibilità di intervenire in aula.
La versione di Matteo Renzi (a Sky Tg24) è opposta: «Sono sei mesi che è in corso il dibattito costituzionale alla camera. Se vogliono discutere noi ci siamo. Il problema è che non vogliono discutere nel merito ma desiderano fare polemiche e ostruzionismo». Il dibattito alla camera sul disegno di legge costituzionale è iniziato in realtà cinque mesi fa. Ma dopo il formale «incardinamento» in commissione, e dopo le audizioni dei costituzionalisti, è entrato nel vivo a dicembre. Per essere iscritto all’ordine dei lavori dell’aula poco prima della sospensione natalizia, così da poter contingentare i tempi a gennaio. Allora il «patto del Nazareno» era blindato e un solo emendamento era sfuggito alla tenaglia Pd-Forza Italia (su 40 articoli che riscrivono un terzo della costituzione). Una modifica di buonsenso che cancellava i cinque senatori di nomina presidenziale che poco hanno a che vedere con il senato delle regioni. Anche quell’unica modifica, però, è stata fatta cadere dalla maggioranza in aula.
È vero che nel dibattito d’aula quasi mai c’è stato confronto nel merito delle proposte. Tanto che ha fatto gridare al miracolo l’accoglimento di una piccola modifica all’articolo 31 – sul coordinamento informatico dei dati – proposta peraltro da un deputato di maggioranza. Ma le opposizioni che fanno il loro mestiere, cercando di rallentare un disegno di legge che criticano in più punti. È il governo che ha imposto il rispetto di un accordo extraparlamentare con Berlusconi. Se non si può dire che Renzi non abbia modificato in nulla le sue proposte originarie, né sulla legge elettorale né sulla riforma costituzionale, si può dire che lo ha fatto solo in seguito a trattative private con Berlusconi e Verdini. Che adesso sono all’opposizione. Almeno Berlusconi.
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