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Ribelli furiosi con gli Usa: «Così salvate al-Assad»

Ribelli furiosi con gli Usa: «Così salvate al-Assad»Bombardamenti su Damasco – Reuters

Siria Il presidente Usa: «Teheran prenda parte al dialogo». Preoccupazione delle opposizioni a Damasco di una maggiore influenza iraniana nel paese, che sta sopravvivendo grazie agli aiuti militari e finanziari degli Ayatollah

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 luglio 2015

Dopo la firma dello storico accordo con l’Iran, il presidente Obama ha chiamato Putin per ringraziarlo del «ruolo importante» giocato dalla Russia. Ma non si è limitato ai ringraziamenti. Ha fatto suo il discorso che Mosca porta avanti da anni: coinvolgere Teheran nella soluzione della crisi siriana. Che, tradotto, significherebbe aprire all’alleato di ferro degli Ayatollah, il presidente siriano Bashar al-Assad.

Già la scorsa primavera, in preda alla frustrazione per gli scarsissimi risultati archiviati dalle opposizioni moderate (abbondantemente e inutilmente finanziate da Washington), il segretario di Stato Kerry era stato costretto a capitolare. Il 15 marzo aveva annunciato la necessità di dialogare con quello che l’Occidente ama definire “il macellaio di Damasco”. Non mancò, all’epoca, di smentirsi immediatamente e chiudere alla possibilità di una storica apertura.

Ma ora il dialogo con Assad potrebbe tornare in agenda, indirettamente. In conferenza stampa alla Casa Bianca, mercoledì sera, Obama ha detto quello che la Russia ripete da un bel po’ di tempo: «Concordo sul fatto che non risolveremo i problemi in Siria a meno che non coinvolgeremo russi, iraniani, turchi e partner del Golfo. Ci deve essere un accordo tra i principali poteri coinvolti in Siria. L’Iran è uno di questi attori e penso sia importante per loro essere parte del dialogo».

Così, dopo aver costretto lo scorso anno il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon a ritirare l’invito fatto a Teheran perché partecipasse alla fallimentare conferenza di pace di Ginevra, ora Obama si piega: sulla spinta dello storico accordo appena siglato, forse spera di salvare in calcio d’angolo una presidenza dai risultati non certo brillanti in Medio Oriente.

Aprire all’Iran significa aprire ad Assad e considerarlo parte di un’eventuale transizione politica. Nonostante gli strepiti dei ribelli, che non hanno digerito il compromesso sul nucleare iraniano, è passato il tempo in cui si poteva realisticamente immaginare di far saltare la testa a Bashar. Le opposizioni sudano freddo: l’accordo con l’Iran incrementerà a dismisura l’influenza di Teheran. «Abbiamo paura che l’Iran userà i conti scongelati [valutati sui 100 miliardi di dollari, ndr] per un maggiore sostegno ad Assad», ha commentato Mohammed Maktabi, segretario generale della Coalizione Nazionale Siriana, sostenuta da Washington.

Intervento a gamba tesa, invece, da parte dell’Esercito della Conquista, che accusa Usa e Iran di essere «alleati strategici, i segnali di animosità sono ipocrisia», giustificando l’ “alleanza” con i mancati raid Usa contro postazioni dell’esercito siriano. Stessa visione per i qaedisti di al-Nusra: «L’Iran è il miglior partner Usa nella regione – ha detto una fonte del Fronte – La soluzione per loro sarà una transizione che salverà il regime».

Dopotutto il presidente iraniano Rohuani non lo ha mai nascosto: la Repubblica Islamica sosterrà la Siria e il suo governo «fino alla fine della strada». A Damasco l’Iran non fa mancare aiuti militari e finanziari, molto maggiori di quelli garantiti prima della guerra civile (quando il principale partner commerciale siriano era la Turchia, vecchia alleata): 60mila barili di greggio al giorno che probabilmente Assad non risarcirà mai; 6 miliardi di dollari l’anno in aiuti; altri milioni in armi; stipendi a migliaia di combattenti iraniani, libanesi e iracheni; e propri esperti militari a gestire la strategia sul terreno.

Un sostegno fondamentale per un paese in crisi nera, con un’economia devastata da 4 anni di guerra civile, giacimenti petroliferi occupati dallo Stato Islamico e inutilizzabili, 4 milioni di rifugiati all’estero e 7 milioni di sfollati interni, un tasso di disoccupazione oltre il 50%, una riduzione dell’import e dell’export pari al 90%, un tasso di inflazione al 50%.

L’Iran ha investito troppo nell’asse sciita per abbandonare ora la presa. Obama lo sa. E tenta una sterzata nella strategia finora adottata e che non teneva conto dei reali equilibri di potere nel campo di battaglia siriano.

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