Il volume di Valdo Gamberutti Elogio dell’autore televisivo (Bordeaux, pp. 135, euro 12) merita davvero. Anzi, dopo la prima segue inevitabilmente una seconda lettura, tanto è denso ed elegante lo scritto. Il testo, parte di una interessante collana diretta da Alberto Olivetti, reca come sottotitolo Paradossi di un mestiere sconosciuto. Si tratta, appunto, di una colta forma di autocoscienza di una persona che fa di professione l’autore: televisivo, va chiarito. Cosa assai diversa – si chiarisce bene – dagli omologhi mestieri svolti per il teatro o il cinema. La scatola nera, addomesticata al punto da diventare uno degli elettrodomestici casalinghi, è un medium contiguo e tuttavia diverso rispetto agli altri.

IN MOLTI PROGRAMMI, dai reality ai talent agli stessi talk (sui quali saggiamente il testo si avventura di striscio), il ruolo dell’autore diventa stringente. Sembra che il flusso che ci avvolge sia improvvisato o una mera restituzione naturalista della narrazione. Non è proprio così. L’unicità di quel linguaggio sta nell’apparente non-scrittura, che si regge – al contrario – sulla scrittura non scritta: ideazione a monte, intervento sulle riprese, montaggio. Quella componente della scrittura che non si chiama sceneggiatura. Ma che non è semanticamente minore.

Insomma, ciò che appare una sequenza di atti spontanei è il frutto di scalette, liste per i casting, sopralluoghi, dialoghi precedenti, ricerche di mercato sui gusti del pubblico (Il Grande Fratello nacque a cavallo del 2000 in Olanda attraverso studi accurati su stili e desideri di campioni sociali). Finché era imperante la trasmissione in diretta pura qualche spontaneità rimaneva. Con l’avvento del ciclo della post-produzione, del montaggio, delle sequenze già registrate, nonché degli effetti speciali del digitale, la casualità è ridotta all’osso. Alla forza del destino rimangono sì e no parolacce o eccessi volgari, cui persino il cinismo autoriale non pensava. Forse.

Se le liti non sono completamente previste, ad esempio, non è detto che le situazioni critiche propedeutiche all’esplosione delle voci e delle urla non siano state programmate. Del resto, come nella comicità (o nella tragedia) vi sono archetipi invarianti figli della commedia dell’arte. La non-scrittura diviene una griglia persino più rigida del copione, quest’ultimo invece malleabile dai protagonisti bravi che si rapportano al volo agli umori di chi è in sala. La televisione-realtà è, dunque, un’illusione. Ci ammonì su tale aporia Angelo Guglielmi, con la terza rete da lui diretta antesignana di un modello cui tuttora i palinsesti sono debitori: verità e finzione si intrecciano fino a fondersi.

ECCO PERCHÉ, ci urla con ira composta e autoironica Gamberutti, la funzione degli autori va affrancata da ogni visione riduttiva o laterale. Non bastano gli elenchi talvolta immensi dei titoli di coda a dare effettivo valore ad un’attività decisiva oggi e indispensabile domani nell’età delle piattaforme e della crossmedialità. Se il messaggio prevale sul mezzo, l’acconciamento del prodotto è decisivo.
Pure sotto il profilo sindacale servirebbe un salto di qualità da parte di categorie non abituate probabilmente a scavare nella trama nervosa dell’industria culturale, trasformata dalla inquietante dilatazione della riproducibilità tecnica.

Il volume ci prende per mano fin dalle prime pagine, per darci il senso di un lavoro ignoto o conosciuto solo quando la scrittura è perfettamente politica, come nei studiatissimi ed efficaci monologhi di un mattatore come Crozza. Vi sono tante facce segrete che la macchina editoriale ci nasconde, per offrire l’illusione che l’apparenza sia aderente ai calchi registrati dal nostro immaginario.

La chiave interpretativa è descritta attraverso la figura retorica dell’elogio paradossale. Stiamo parlando del capovolgimento del giudizio mutuato dal comune su una parola o su una persona. Erasmo da Rotterdam ha elogiato la follia, Luciana di Samosata la mosca, Sinesio di Cirene la calvizie. Potremmo aggiungere Leonardo Sciascia con Don Abbondio. Il rovesciamento è utile per scoprire lati non evidenti, segni rimasti sotto la superficie. Una sfida intelligente per l’intelligenza. L’autore televisivo va elogiato, quindi, per capovolgere l’approccio superficiale di chi lo relega ad una ingenerosa serie minore.

Il libro ci dimostra esattamente il contrario. Svolgere simile attività richiede conoscenze e attitudini poliedriche, saperi trasversali e accurati in grado di rispondere a qualsiasi input o polarità oppositive. Quanto maggiore è l’aspetto amico e domestico della televisione che guardiamo come se ci fossimo dentro, tanto l’edificio comunicativo richiede edifici sofisticati.

VA SVOLTA, infine, una considerazione non strettamente legata all’opera di Gamberutti, ma volta a raccoglierne la sfida. Nella stagione del predominio dittatoriale degli algoritmi o del ricorso massivo nelle stesse progettualità artistiche e mediatiche all’intelligenza artificiale, l’autore (accidenti alle parole maschili) appare come una modalità di resistenza, a difesa della creatività e dell’autonomia del pensiero umano. Il peggior trash sarà sempre meglio di un robot.