Perché collezionare? A che fine? In che modo le informazioni vengono selezionate, organizzate e archiviate? Intorno a queste domande, l’artista e filmmaker Fiona Tan si è a lungo interrogata con poetici display espositivi e videoinstallazioni. Ha rappresentato l’Olanda alla 53/a edizione della Biennale di Venezia con Disorient, doppia proiezione che, servendosi dei diari di Marco Polo, cercava di immaginare come sarebbe stato il museo dell’esploratore veneziano. L’opera giustapponeva tempo e luogo, finzione e realtà, tra immagini contemporanee e frasi dei resoconti del viaggiatore. «Il giovane Marco Polo mi intriga e mi irrita – ha affermato Tan – sembra incarnare il viaggiatore ideale: né colonialista, né guerriero né politico, non ha una meta, una destinazione finale. Mi sono lasciata guidare dalle sue parole per immaginare un archivio del futuro, al di là della dicotomia restrittiva tra Oriente e Occidente».

Fiona Tan

LA MODALITÀ di creare ellissi tra biografie e geografie è presente in molte opere filmiche e fotografiche dell’artista, raccolte nella personale Mountains and Molehills, visitabile fino all’8 gennaio, a Eye Filmmuseum di Amsterdam. Tra queste, c’è il suo ultimo lavoro, la poetica videoinstallazione Footsteps, in cui Fiona Tan crea un montaggio di found footage film appartenenti dall’archivio di Eye, brevi documentari girati nei Paesi Bassi nei primi anni del cinema, con brani della sua biografia.

I «Dutch Tapes», cosi sono catalogati nell’archivio di Eye, mostrano frammenti di vita, bambini che giocano, persone impegnate in pesanti lavori fisici nelle campagne, nei porti e nelle fabbriche, contesti urbani. Immagini accarezzate da una voce off che legge parti di lettere che il padre dell’artista le inviava quando lei si era trasferita in Olanda, per studiare.

TAN È NATA A PEKAN BARU, in Indonesia, nel 1966 ed è cresciuta in Australia prima di trasferirsi alla fine degli anni ’80 nella capitale olandese per studiare alla Gerrit Rietveld Academie e alla Rijksakademie. Nelle lettere, il padre accompagna la figlia nella sua nuova quotidianità. Colpisce la sua conoscenza della storia dei Paesi Bassi, pur non avendoli mai visitati, e della lingua, che aveva imparato in una scuola gesuita in Indonesia. I racconti e i frammenti diaristici si intrecciano con riflessioni sugli eventi storici dell’epoca, la caduta del muro di Berlino, le proteste di piazza Tienanmen a Pechino, la vittoria di Nelson Mandela alle elezioni in Sudafrica. Il montaggio è fluido e si rimane ipnotizzati dalla maestria con cui le immagini pur appartenendo a un tempo diverso rispetto a quello delle lettere, si integrano in un affresco composito e vibrante di emozioni.

Fiona Tan, «Gray Glass»

DEL RESTO, COME SCRIVE Hannah Arendt ne La vita della mente, diventa difficile identificare il posizionamento del nostro io interiore. Colui/colei che pensa è un vagabondo, eternamente homeless alla ricerca di una casa. L’azione del riflettere ci pone in una sorta di instabile equilibrio tra passato e futuro, protesi in avanti alla ricerca della terra incognita e rivolti indietro, verso il ricordo di eventi già accaduti.
In Gray Glass vediamo un uomo che camminando trasporta sulla propria schiena uno specchio. Attraversa paesaggi, montagne, caverne, in solitudine. Trasporta i «Gray Glass», specchi neri tascabili concavi, che nel Settecento permettevano ai pittori paesaggisti di riprodurre più facilmente i panorami, grazie alla riduzione della gamma dei colori. Specchi che, in quel periodo, erano prodotti solo in Italia, talmente costosi e preziosi da dover essere trasportati non sul dorso degli asini, la maggior infrastruttura logistica del periodo, ma da speciali trasportatori. Tan presenta una «archeologia» delle immagini in questa tripla videoinstallazione, in cui lo specchio riflette, come se fosse un occhio onniveggente, l’immagine del paesaggio che il viaggiatore si lascia alle spalle, il passato, mentre è proiettato verso il futuro.

CON «INVENTORY» ESPLORA una collezione eclettica, quella di sir John Soane, architetto neoclassico che, nella sua abitazione londinese, aveva ricreato una versione dell’amata Roma, collezionando reperti archeologici e monumenti antichi, raccogliendo sculture greche e romane, calchi, lacerti di facciate, 7.000 libri, dipinti, disegni architettonici e stampe.

Fiona Tan ha ripreso con diverse telecamere l’interno dell’abitazione, rimasta immutata fin dal 1837 come museo. Inventory disorienta con la sua molteplicità di frammenti e testimonianze storiche, la vertigine del collezionare di Soane è speculare alla consapevolezza dell’artista che nessuna documentazione potrà restituire il valore, la complessità e la ricchezza della raccolta. Per questo ha scelto di usare supporti diversi, di fare riprese in Hd, in Super 8, Vhs, per sottolineare anche le restituzioni visive dei diversi dispositivi di registrazione. Il tempo è un materiale che permette di modellare ed elaborare immagini fisse e in movimento. Per osservare, con sguardo critico e poetico, le forme della percezione e della rappresentazione.
Così come in Disorient, in Gray Glass, in Footsteps e nelle stanze stipate di reperti di Inventory, l’invito è a perdersi, cercando l’instabile equilibrio tra passato e futuro, tra diversi spazi geografici e dimensioni temporali.