Se si vuole solo sapere cosa racconti l’appena uscito romanzo di Luca Scarlini (Le streghe non esistono, Bompiani, pp. 192, euro 16), qual sia l’ambiente culturale e geografico in cui si svolge la vicenda del giovane Luca, cosa gli accada e chi incontri nel suo ultimo anno da crisalide, quali siano le prove e le insidie che il bambino deve affrontare tra l’inverno e l’estate del 1975, tra dintorni fiorentini e campagna senese, tra le malie seducenti dell’universo femminile e le perentorie attitudini di quello maschile, conviene leggere le righe con cui sulla pagina dell’editore il libro viene presentato. E si può anche leggerne qualche altra, pure disponibili in rete, che l’autore premette al racconto e con le quali suggerisce egli stesso la principale, se non l’unica, chiave di lettura di questa narrazione in prima persona, col sapore di autobiografia, immaginata appunto nell’impronta indelebile delle Avventure di Pinocchio. Collodi in effetti conosceva boschi, ville, strade e campagne tra Sesto Fiorentino, Quinto e Castello, perché erano i luoghi che circondavano lo stabilimento della ditta e le dimore della famiglia Ginori, per la quale avevano lavorato i genitori di Carlo Lorenzini prima e lavorava il fratello Paolo successivamente.

LA CIRCOSTANZA, che vuole creare una continuità geografica ed esistenziale, diverte ma non sorprende del tutto, perché le reincarnazioni del burattino come del suo creatore sono tanto splendidamente numerose quanto varie e inaspettate sono le loro incessanti trasformazioni. Chi non s’è sentito, almeno una volta, interprete di qualche avventura, di qualche marachella, di qualche sconfitta, di qualche riuscita, di qualche profondo mutamento simile a quelle e a quelli di Pinocchio? Che poi per molti, al di là di eventuali e curiose coincidenze, è stato strumento interiore per riuscire a trovare un modo di raccontarsi, se non sempre trovarsi, nella forma adulta. Si ricorderà che Pinocchio ha come modelli e antagonisti due caratteri principali, tra la cui incerta ipostasi oscilla: sono il padre, che l’ha trovato in un legno da catasta, dal quale sempre fugge e sempre ritorna, che perde e ritrova, che condanna e salva; e la madre, che appare sempre in corpi mutevoli e magici, bambina, donna, capra, che lo guida e lo svia, lo cura ed espone al rischio, lo uccide e lo resuscita.

TRASFIGURATO nel corpo di Luca, e forse anche nei gesti e nelle azioni, Pinocchio torna a rivivere alcune sue tipiche avventure negli anni Settanta: mitici, magnifici, liberatori, conflittuali o violenti che si vogliano immaginare, in parte se ne fa testimone e lì riscopre l’ambigua contiguità tra il mondo dell’ordine e della banalità e quello del mistero e della trasgressione; scopre lo scarto e la norma; scopre soprattutto che la vita scorre e ti appartiene anche se non sei consapevole e neppure hai capito cosa ti sia successo; scopre che il corpo ch’è tuo può essere anche il veicolo momentaneo o occasionale di altre identità, di altre verità; che dentro di te convivono anime diverse e magari opposte; scopre infine un modo di dire quel che crede di essere.

Ecco, sì: leggendo qualcosa della trama e della chiave interpretativa del romanzo già ci si potrebbe fare un’idea abbastanza precisa di cosa racconti, ma non ci si avvicinerebbe all’atmosfera ironica, scherzosa e picaresca che vi si respira. Scarlini non risparmia niente e nessuno, neppure se stesso, manco a dirlo, e pare voler trattare tutto per gioco, suscitando riso e coinvolgimento comico, amplificando e deformando voci, aspetti, figure, ombre, forse anche ricordi, gonfiandoli e trasferendoli, mimetizzandoli ed esibendoli. La sensazione, nelle poche ore di cui il racconto ha bisogno, è quella di assistere a una danza; un ballo in cui un corpo rappresenta il rischio e la paura di diventare un burattino e che infine si libera di questo timore.