Cultura

Se le frontiere cadono allo Spasimo di Palermo

Se le frontiere cadono allo Spasimo di PalermoAlfredo Jaar, «Due o tre cose che so dei mostri»

Mappe artistiche «Al di là del muro»: è il titolo della Biennale Arcipelago del Mediterraneo disseminata in suggestivi spazi palermitani, dove sfodera un potente immaginario politico

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 23 novembre 2019

Sincretismo e multidisciplinarità. La seconda edizione della Biennale Arcipelago Mediterraneo ha fatto proprie queste due parole componendo un palinsesto polifonico, ideato a più mani dalla Fondazione Merz di Torino e da European Alternatives, che ha spostato a Palermo il proprio Transeuropa Festival. Il sindaco Leoluca Orlando, Adham Darawsha, assessore comunale alle culture, e Andrea Cusumano, ex assessore alla cultura del Comune e direttore della kermesse hanno sostenuto con entusiasmo la Biennale, consapevoli di alimentare – con queste e altre iniziative – la scena artistica locale con innesti internazionali. Ne sono la testimonianza gli artisti che dopo aver partecipato a Manifesta, rassegna che ha mostrato le potenzialità della città nonostante le difficoltà, hanno scelto di rimanere a Palermo invece di ripartire. O, ancora, Massimo Valsecchi e Francesca Frua De Angeli che hanno ristrutturato Palazzo Butera per ospitare la loro collezione d’arte.

Un’opera di Daniel Ortega

ÜberMauer, al di là del muro è il titolo della Biennale che intende indagare possibili/potenziali forme di integrazione attraverso una pluralità di proposte artistiche interdisciplinari.
Le opere selezionate dalla Fondazione Merz sono disseminate tra la Kalsa e il Cassaro in luoghi fortemente suggestivi, come il teatro Garibaldi, il Convento della Magione, lo Spasimo e la Sala sopra le Mura, il teatro Bellini, la chiesa dei ss. Euno e Giuliano (visitabili fino al 10 dicembre).

Sulle pareti della chiesa di santa Maria dello Spasimo l’artista israeliana Michal Rovner ha proiettato sagome di uomini/ombra che si tengono per mano, una scrittura in movimento che allude alla condizione di fragilità dell’essere umano, che solo unendosi ha la forza per creare cambiamenti. Le videoinstallazioni di Shirin Neshat presentate all’interno della chiesa riguardano invece il confronto tra cultura islamica e occidentale, con una particolare attenzione alla condizione della donna.
Al Convento e al chiostro della Magione è proiettato il video Tel Al Zaatar della palestinese Emily Jacir, che ha restaurato e rimontato le bobine ritrovate nell’archivio audiovisivo del Movimento operaio di Roma, girate nel 1976 nel campo profughi di Tel al Zaatar a Beirut.

LA VOLONTÀ DI SANARE e lenire le ferite delle guerre è presente nell’installazione dell’artista visiva, scrittrice, performer e attivista Zena el Khalil che si serve delle frequenze sonore prodotte dalle piante per diffondere vibrazioni terapeutiche. Con il suo lavoro, Europa 11 novembre 2015 Francesco Arena riporta alla memoria la chiusura del confine tra Slovenia e Croazia, attraverso la costruzione di reti metalliche e filo spinato, per controllare il flusso dei migranti. Arena ha realizzato un filo che ha la stessa lunghezza di quella frontiera, legando insieme materiali di recupero come frammenti di corde, lacci di scarpe, cavi elettrici, nastri. E a riprova del fatto che l’arte non è mai neutrale, l’opera Crossover di Giuseppe Lana, installata in piazza Magione e composta da quattro barriere luminose meccaniche che si alzano alternandosi, è stata subito vandalizzata (ora in restauro).

La memoria collettiva si contamina con quella privata nella video installazione di Driant Zeneli nella chiesa dei ss. Euno e Giuliano, in cui l’artista albanese chiede al padre, pittore ufficiale durante il regime comunista, di ritrarlo come se fosse il leader del governo: una critica ironica destinata alle istituzioni politiche del paese. Nel teatro Bellini, che è da tempo chiuso, Alfredo Jaar invita i visitatori direttamente sul palcoscenico per diventare gli attori della scena e confrontarsi con il testo scritto al neon Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri, tratto da Antonio Gramsci.

L’INDAGINE sulla scena politica contemporanea continua al teatro Garibaldi, l’hub di Transeuropa festival, con New Unions, installazione di Jonas Staal riguardante il rapporto tra arte, propaganda e immaginazione politica. «Ho composto a terra una grande mappa che cerca di tracciare la situazione della politica europea – racconta l’artista olandese, autore del parlamento della Rojava, nella zona autonoma curda in Siria – un parlamento senza stato per una democrazia senza stato», come ha dichiarato.
«La mappa l’ho realizzata documentandomi e ascoltando collettivi, associazioni e intellettuali – racconta Staal -. È volutamente in progress, è una cartografia che si modifica di volta in volta, accompagnata da bandiere nazionali da me trasformate e rese astratte, per allontanarmi da simboli e stemmi nazionali, e con diversi video. Questi ultimi documentano riunioni organizzate in stadi o su piattaforme petrolifere, di DiEM25 ad Amsterdam e ad Atene, luogo significativo della crisi che sta attraversando l’Europa negli ultimi anni. Certo, la Grecia non è il solo paese a essere in crisi, per questo con il New World Summit, organizzazione da me fondata, reclamiamo nuove forme di immaginazione politica, lontane da forme di potere precostituito».

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