A Troia l’incendio divampa e prima che la notte la divori, Creusa, figlia di Priamo e moglie di Enea, si rivolge alle dee «perché, se in questa guerra siamo state zittite, voi che potete travalicare i fossati del tempo, vi prego: raccontate le nostre verità». È il proemio dell’Iliade raccontata dalle dee, l’ultimo libro con cui Marilù Oliva conclude una trilogia sui classici greci e latini pubblicata da Solferino (pp. 192, euro 16.50). Come nei precedenti L’Odissea raccontata da Circe, Calipso e le altre e L’Eneide di Didone, anche in quest’ultimo Oliva propone una rilettura in chiave femminile e femminista, intendendo con femminista la volontà di restituire visibilità alle donne e di incoraggiarle a non arrendersi, come la dedica che apre il libro «alle sorelle ribelli di ogni epoca. Dissidenti e consapevoli di rischiare tutto». La narrazione in soggettiva e il ribaltamento di prospettiva, già ampiamente sfruttati a partire da Atwood, Le Guin, fino ad arrivare a Pat Barker e Madeline Miller, continuano a rappresentare una carta vincente, come attestato dal successo editoriale, oltre che un ottimo modo per avvicinare lettrici e lettori adolescenti; gli stessi libri di Oliva sono stati adottati da molte scuole e parti del testo inserite in antologia.

DEL RESTO L’AUTRICE, oltre a essere scrittrice è anche insegnante, e sebbene quando scrive abbia in mente un lettore universale, sa come rivolgersi e coinvolgere un pubblico giovane. Unico rischio che si corre è forse quello di proiettare sulle donne dell’epoca la tensione dialettica del mondo femminile contemporaneo, mettendo in secondo piano quadro storico e mitico. Oliva tuttavia rimane fedele all’ossatura del racconto di Omero, dimostrandone un’ampia conoscenza, scavando nei silenzi del testo laddove le serve una maggiore introspezione, ma concedendosi qualche licenza come segnala nelle note finali. La scelta di far raccontare la guerra alle dee, come croniste fuori (e dentro) campo, audaci, spregiudicate, senza peli sulla lingua, e pure un po’ ciniche, non solo rende esilaranti alcune scene, ma mette ancora più in risalto l’insensatezza della guerra e le debolezze degli umani, in particolare quelle maschili. «Mio marito è insopportabile – esordisce Era – Mi dà per scontata, ingabbiata nel doppio destino di sorella e moglie». E quando si domanda come abbia fatto il figlio Ares ad «essersi invaghito della sciocca Afrodite» si ricorda che «i maschi non vanno molto per il sottile quando hanno di fronte un bel corpo»; Afrodite, dal canto suo, è troppo presa dagli amplessi. Atena non ci pensa due volte a dire che Agamennone è senza ritegno; Eris, nonostante sia la dea della discordia, non si capacita di come gli esseri umani non si rendano conto che basterebbe così poco per fugare la guerra.

IN MEZZO a questo coro di voci pungenti si distingue il coinvolgimento accorato e autentico di Teti che si preoccupa di come il figlio Achille prenderà la morte dell’amato Patroclo: «chi gli dirà che l’effimera vita che si tengono stretti non ha un barlume di senso?» E ancora di più si distinguono due voci di donne solo toccate dal divino, Elena e Cassandra. Oliva ci restituisce un’Elena inquieta e fragile, che crea sorellanza nonostante una cattiva reputazione che dura da più di tremila anni; di Elena avvertiamo la profonda solitudine a cui la bellezza l’ha condannata, e ciò la avvicina a Cassandra, colei che ha avuto il coraggio di rifiutare Apollo, pur consapevole che sarebbe stata duramente punita. Sebbene nell’Iliade Cassandra sia una figura marginale, Oliva ha immaginato che potesse dialogare con Elena, senza stravolgere la narrazione omerica, bensì lasciando che queste due solitudini potessero incontrarsi; così come nell’epilogo ha voluto ridare voce a Creusa, scomparsa nel nulla, chiudendo il cerchio di una delle infinite rivisitazioni del mito.