Cultura

Se la storia diventa horror

Se la storia diventa horrorPaloma Varga Weisz al Castello di Rivoli

Mostre Al Castello di Rivoli, in attesa dell'insediamento di Carolyn Christov Bakargiev alla sua guida, «Root of a Dream» di Paloma Varga Weisz e il film «American Recordings» di Francesco Jodice

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 2 gennaio 2016

Anche il Castello di Rivoli torna alla vita, avventurandosi nel futuro con un nuovo identikit e due mostre temporanee: Root of a Dream di Paloma Varga Weisz e American Recordings di Francesco Jodice, frutto dell’ultimo scorcio del 2015 (saranno visitabili fino al 24 gennaio). L’assaggio della curatrice entrante Carolyn Christov Bakargiev (che s’insedierà in questo mese, tenendo le redini anche della Gam di Torino e che possiamo considerare anche una «ex» del templio piemontese dell’arte contemporanea che guidò dal 2002 al 2008) è un allestimento che ha rivoluzionato diverse stanze con la collezione permanente del museo (un percorso ideato insieme al capo curatore Marcella Beccaria). Si punta sugli anni Sessanta sottolineando gli intrecci dell’arte italiana con gli scenari internazionali – da Paolini a Lavier fino a Buren passando per Marisa Merz.

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Ma la maggior parte delle sale del Castello ospitano delle presenze «aliene», corpi marziani, espulsi dalla comunità dei «normali», che se ne stanno in bilico tra il sogno e la realtà. Scolpiti spesso in legno, sbrecciati nella loro essenza e vagamente «stupiti» dell’essere al mondo: sono così i bambini sperduti e gli adulti ieratici di Paloma Varga Weisz, umani e insieme bestiali: la curatrice Marianna Vecellio della mostra Root od a Dream, dedicata all’artista tedesca, li ha disseminati qua e là, lungo un itinerario che incita il visitatore a deviare dalla strada maestra del «vero» per approdare a mondi fiabeschi, intrisi di una fantasia fiamminga e popolati di mostri – a volte lillipuziani – che rispolverano antichi traumi, cesure del quotidiano, intermittenze del corpo vissute come forma ultima del «révenant».

Nata a Neustadt an der Weinstrasse nel 1966, Varga Weisz vive e lavora a Düsseldorf ed è qui alla sua prima mostra italiana. Temi universali come la paura dell’ignoto, la trasformazione, il memento mori, le rimozioni dell’inconscio sono gli ingredienti del suo lavoro che, a un certo punto, «scarta» e va dritto verso l’autobiografia: succede quando l’artista, in un video, racconta la storia di lei con suo padre e come «reperto» della sua infanzia mette in scena una casa di bambola abbandonata e desolata, quasi lasciata in fretta e furia per la necessità di un esodo tutto intimo.
L’altra mostra al Rivoli è costituita invece da un solo film, spezzettato però in cinque videoproiezioni giganti: è American Recordings, un’installazione ideata da Francesco Jodice (a cura di Massimo Melotti). Scorre un secolo di storia con continui agganci all’immaginario, intercettando le sequenze di Network (Sidney Lumet) ma anche Essi vivono di Carpenter.

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La cronologia del «sogno a stelle e strisce», scandito da miti e frames indimenticabili, è una sinfonia dai contorni horror e apocalittici che esplode nella «musica detonante» dell’atomica e viene risucchiata nei gorghi del self-made man e dell’individualismo sfrenato, quello oscuro e corrotto procurato dalla finanza che tiene le fila e domina il capitalismo attuale: giochi finanziari come «metalinguaggio» della catastrofe in agguato. Insomma, gli States della democrazia sembrano aver subito una metamorfosi inquietante. Un po’ come i corpi «estranei» di Varga Weisz.

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