Si scrive bellezza e si legge responsabilità
SAGGI «Architettura e democrazia», di Salvatore Settis per Einaudi. Volgere lo sguardo su saperi diversi, è essenziale in una visione interdisciplinare
SAGGI «Architettura e democrazia», di Salvatore Settis per Einaudi. Volgere lo sguardo su saperi diversi, è essenziale in una visione interdisciplinare
Salvatore Settis, nell’iniziare le sue lezioni all’Accademia di Architettura dell’ Università della Svizzera Italiana di Mendrisio, ora raccolte nel volume einaudiano Architettura e democrazia (pp. 166, euro 12), sente il dovere di giustificare di fronte ai giovani architetti il fatto che uno specialista, un grande specialista di archeologia e di storia dell’arte, tenga un corso che si propone di affrontare temi che vanno molto oltre la propria competenza disciplinare, e che riguardano la storia, la filosofia, l’architettura l’urbanistica, il diritto.
Di solito nell’Università l’interdisciplinarietà si fa mettendo uno accanto all’altro in seminari improbabili i diversi specialismi, dando luogo il più delle volta a un defatigante «dialogo fra sordi».
SETTIS DECIDE di lanciare il cuore oltre l’ostacolo accostando lo sguardo su saperi diversi, cercando di fornire ai giovani architetti, e a chi legge, una visione complessiva dei dilemmi e dei problemi che si presentano quando si tratta di progettare un edificio, di pensare uno spazio, di dare forma alla città.
Ciò che rende possibile l’attraversamento di saperi diversi è per Settis la politica, nel suo senso più alto, come discussione libera e aperta sulla forma e il senso della polis, e dentro la politica la scelta valoriale di mettere al primo posto il punto di vista di chi soffre della divisioni, dei ghetti, delle separatezze, che segnano la città contemporanea. L’architetto per far questo deve pensarsi prima di tutto come cittadino, e dare il suo contributo per costruire, assieme a tutti quelli la cui vita è impoverita dalla crescita deregolata e dalla crisi delle città, lo spazio pubblico da cui opporsi alle derive del presente, e innestare le «azioni popolari» che oggi sembrano le uniche in grado di prospettare uno sviluppo diverso.
VIENE IN MENTE a questo proposito l’invito che Edward Said rivolgeva agli intellettuali di farsi «dilettanti» di più saperi. Di pensare e agire cioè «per amore di un disegno di più vasto respiro, che stimola un interesse inesauribile, non ultimo quello di superare confini e barriere, rifiutandosi di rimanere reclusi entro una competenza, e battendosi per idee e valori che trascendono i limiti di una professione». Cercando sempre «di dire la verità», che «in una società come la nostra ha soprattutto lo scopo di configurare una situazione migliore, più aderente ad alcuni principi etici- pace, riconciliazione. alleviamento della sofferenza- da applicare a realtà conosciute».
QUESTA CAPACITÀ di integrare saperi e competenze si scontra con la separatezza con cui questi problemi sono affrontati dalla politica istituzionale. Paesaggio, territorio, beni culturali, ambiente, suoli agricoli sono trattati e normati separatamente. Ma non si dovrebbe mai dimenticare che «questi termini definiscono di fatto uno stesso spazio di vita delle comunità umane, e che pertanto ogni separata regolazione deve essere esplicitamente e accortamente raccordata con le altre». Altrimenti nella schizofrenia delle norme e nei conflitti fra le autorità pubbliche che dovrebbero tutelarle «l’interesse privato dei singoli facilmente prevale sul bene comune».
Salvatore Settis propone a noi e ai giovani architetti uno sguardo che abbraccia l’insieme dei problemi, tenuti insieme dalla storia, come capacità di leggere i modi in cui questi temi sono emersi, e per indagare come ambiente, suolo agricolo, paesaggio, architettura, abbiano trovato sintesi nella forma delle diverse città e nel loro rapporto col territorio. Cosa più che mai necessaria oggi, quando «la tendenza globalizzante impone a tutto il pianeta un unico modello di sviluppo urbano, le cui componenti inseparabili sono la verticalizzazione delle architetture, la megalopoli e la segmentazione interna delle città, con le nuove forme di apartheid sociale».
La conservazione dei beni culturali e del paesaggio e il concetto stesso di «patrimonio» sono un elemento fondamentale per resistere a questa tendenza. Ma Settis ci propone di invertire le priorità rispetto al modo con cui questo concetto si è formato e ha dato vita alla legislazione in merito.
Si è partiti infatti dai beni artistici e architettonici, per passare poi al paesaggio come bellezza naturale, con una concezione prevalentemente estetica del bene naturale o culturale da preservare.
LE URGENZE del nostro tempo, che Settis ricava in gran parte dall’enciclica Laudato sii di papa Francesco, ci impongono di mettere al primo posto nella scala della tutela l’ambiente, e poi la campagna senza cui la città si slabbra e deperisce, e poi le periferie, delle città e del mondo, in cui vivono i poveri della terra.
È in questo quadro e con questo orizzonte di priorità che le bellezze artistiche, la densità storica dei centri delle nostre città assumono un valore per tutti, diventano parte dell’impegno complessivo per costruire un mondo più degno e vivibile. Si tratta insomma di compiere una vera e propria «socializzazione del paesaggio», mettendosi dal punto di vista di chi la città globalizzata mette ai margini. «Perché – ed è questo il messaggio più importante che ci viene da Salvatore Settis – non c’è bellezza senza responsabilità e senza storia».
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