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Se in democrazia la sola cosa che conta è decidere

Se in democrazia la sola cosa che conta è decidereBeppe Grillo

La versione di Grillo Che la virulenta carica antiparlamentare fosse il motore trainante del “taglio” dei deputati e dei senatori era, in effetti, lampante. Solo chi ha chiuso volontariamente gli occhi ha potuto non vederla

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 25 settembre 2020

A quarantott’ore dalla vittoria del Sì, arriva da Beppe Grillo l’interpretazione autentica del voto referendario. Altro che ridurre per rilanciare il Parlamento, come sostenuto dai suoi compagni di strada culturalmente più consapevoli. L’esatto contrario: «Non credo più in una forma di rappresentanza parlamentare, ma credo nella democrazia diretta fatta dai cittadini attraverso i referendum».

Che la virulenta carica antiparlamentare fosse il motore trainante del “taglio” dei deputati e dei senatori era, in effetti, lampante. Solo chi ha chiuso volontariamente gli occhi ha potuto non vederla. La gran parte di quel 69,6% che ha deciso di liberarsi di un terzo dei propri rappresentanti si è aggregato intorno a un incontenibile coacervo di qualunquismo, antipolitica e populismo. Con l’aggiunta di un individualismo radicale, alimentato dalla sfiducia – meglio: dal disprezzo – che, sull’onda dei ripetuti fallimenti, investe oramai qualsiasi forma di mediazione rappresentativa. L’analisi del voto lo conferma. Il No tiene solo là dove la politica ha conservato la capacità di dialogare con i cittadini: nelle zone più benestanti delle grandi città. Il Sì dilaga nei territori in difficoltà: le periferie urbane, le campagne, le aree interne, il meridione. Le parti del Paese, economicamente e socialmente depresse, che più avrebbero bisogno della politica e che, invece, la politica ha colpevolmente abbandonato. O, al più, strumentalizzato, fomentandone il rancore e le paure. È questo il più dannoso effetto del referendum: aver rinforzato la (falsa) contrapposizione tra governanti e governati, offrendo a questi l’illusoria opportunità di poter dare, per una volta, uno schiaffo in faccia a quelli.

«Possiamo fare tutto con il voto digitale. Sono andato ancora a votare con una matita, dietro una cabina… Sono cose che non concepisco più. Noi abbiamo lanciato Rousseau, che è interessante. Una piattaforma dove un cittadino può dire, consigliare, votare a tutti i livelli, proporre una legge. Oggi si può fare. Si può fare un referendum alla settimana» – ha aggiunto Grillo. Sorvolando sulla circostanza che il sito Rousseau, attraverso cui vengono prese le decisioni del M5S, non è gestito da quest’ultimo, ma dall’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio. Sorvolando sull’opacità delle modalità di iscrizione al sito stesso e di gestione delle liste degli iscritti e degli aventi diritto al voto. Sorvolando sulle sanzioni inflitte al sito dal Garante della privacy nel 2018 (per trattamento illecito dei dati personali) e nel 2019 (per insufficiente tutela dei dati degli iscritti durante un voto online). Sorvolando sui potenziali conflitti di interesse tra l’Associazione Rousseau e la società di consulenza Casaleggio Associati, anch’essa di Davide Casaleggio. Sorvolando, soprattutto, sulla miseria della partecipazione digitale: appena 176.402 iscritti al sito Rousseau, con una punta massima di partecipazione al voto di 79.634 persone, a fronte di una forza politica che nel 2013 aveva raccolto oltre sedici milioni di voti.

Il punto, tuttavia, non è che la «democrazia continua» cui allude Grillo (ma la definizione – in senso critico – è di Stefano Rodotà), sia in realtà impraticabile. Il punto è che è concettualmente sbagliata. Lo dice chiaramente Norberto Bobbio quando scrive che «nulla uccide più la democrazia che l’eccesso di democrazia». Viviamo in società plurali, che devono trovare il modo di tenere insieme diversità non di rado tra loro confliggenti. Sottoporre il popolo a un processo decisionale continuo alimenta contrapposizioni e fratture sociali che rischiano di dissolvere l’unità politica in pluralità fratricida.

Da quasi trent’anni viviamo nell’illusione di poter ignorare il pluralismo, alterando la rappresentanza con sistemi elettorali che danno forza parlamentare a chi non ha corrispondente forza politica. Anziché cercare il confronto con l’avversario, ne bramiamo la sopraffazione. Discutere ci pare inutile, la sola cosa che conta è decidere: è la logica della democrazia maggioritaria. Una logica che perfettamente si adatta alla democrazia diretta prefigurata da Grillo – quel che conta è che i Sì superino i No – e che fa del M5S non la rottura, ma la più compiuta realizzazione dello spirito dei tempi.

Riflettendo sulla democrazia, Hans Kelsen sottolineava la prevalenza del momento deliberativo – cioè del dibattito – su quello decisionale. Democrazia è, anzitutto, discussione. Non scelta. Più del risultato, conta il procedimento. La decisione è, idealmente, risorsa cui ricorrere in ultima istanza, quando ogni altra soluzione rivolta alla creazione del consenso risulta non ulteriormente praticabile. Solo così le decisioni parlamentari possono non apparire imposizioni della maggioranza sulla minoranza. Solo così i rappresentanti possono realmente rappresentare la nazione, anziché interessi di parte. E solo così, soprattutto, si può davvero realizzare l’ideale che anima democrazia diretta: ridurre la distanza tra governanti e governati.

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