Se il passato si ripresenta, con le aggravanti
Rai Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va a Maometto. Fabrizio Salini, ad della Rai, è andato a trovare il leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini. […]
Rai Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va a Maometto. Fabrizio Salini, ad della Rai, è andato a trovare il leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini. […]
Se Maometto non va alla Montagna è la Montagna che va a Maometto. Fabrizio Salini, ad della Rai, è andato a trovare il leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini. La notizia sarebbe, questa sì, di cambiamento, ma in peggio: perché un fatto del genere è una novità preoccupante e grave visto che nemmeno con Renzi o con Berlusconi si era giunti a tanto.
Purtroppo non è che l’ultimo esempio della fallimentare gestione della questione televisiva da parte di un Movimento che aveva fatto dello slogan «fuori i partiti dalla Rai» uno degli asset della propria azione. Dubitiamo che Grillo, dietro la maschera da guitto, possa gioire di fronte alla sua creatura ridotta ad assecondare gli aborriti scenari della lottizzazione. Ma davvero Di Maio, indicando a luglio il nuovo amministratore delegato, pensava di mettere sulla poltrona dell’azienda pubblica un signore che alle prime difficoltà sarebbe andato a conferire con il capo della Lega? Ed è possibile che Salini abbia fatto un simile passaggio senza l’avallo dei pentastellati?
La verità purtroppo è che, anche in questo caso, non solo il passato non passa, ma si ripresenta con le aggravanti. Sterilizzato il buon Fico, già alla Vigilanza a reclamare nella scorsa legislatura equità e pluralismo, collocato com’è sullo scranno di Montecitorio, non sembra esserci fine al cupio dissolvi di un soggetto politico nato per far saltare i rituali del vecchio potere, ma che invece li ricalca senza imbarazzi.
Non c’è via d’uscita dei fronte alla partigianeria tignosa di Fabio Fazio (che c’è, anche se a fin di bene), a quella astuta di Bruno Vespa (con Salvini superstar a «Porta a Porta» tra gennaio e febbraio), alla faziosità a basso indice di ascolto del Tg2 o del Tg-Post (capace, quest’ultimo, di un inedito fuoco amico su Fazio e Rai1, un fatto sinora mai accaduto, e da che pulpito poi!), all’insostenibile leggerezza delle ospitate politiche in programmi d’intrattenimento, la strada è una sola: riformare il sistema. Cioè mettere mano a quella mancata riforma della tv che la renda, pubblica o privata, meno subalterna alla politica.
Una riforma tra l’altro più volte annunciata, ultimo proprio il M5S, ma sempre rimasta sulla carta. Le proposte, appunto, ci sono. Forse il nuovo segretario del Pd farebbe bene a pensarci.
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