Politica

Se il non voto è l’unica arma

Elezioni L’interpretazione politica dell’astensione è sempre stata una impresa ardua. Un esercizio che oscilla facilmente tra la banalità e la forzatura. «Disaffezione alla politica» significa poco. «Antipolitica» ancora meno. Eppure milioni […]

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 30 maggio 2013

L’interpretazione politica dell’astensione è sempre stata una impresa ardua. Un esercizio che oscilla facilmente tra la banalità e la forzatura. «Disaffezione alla politica» significa poco. «Antipolitica» ancora meno. Eppure milioni di persone hanno disertato le urne. Dopo le elezioni di febbraio il Movimento 5 stelle, almeno nelle sue letture più raffinate, era stato ritenuto capace di intercettare una composizione sociale, forme di vita, di lavoro e di relazione, escluse dalla rappresentanza delle forze politiche e sindacali esistenti, nonché da quel tanto di tutele, garanzie e risorse filtrate attraverso il setaccio dell’austerità. Quanto parziale ed effimera fosse questa intercettazione e improprio il linguaggio che pretendeva di esprimerla lo dimostra la brusca inversione di tendenza delle amministrative di maggio.

Di fronte a una così massiccia sottrazione al voto non ha tardato a manifestarsi quella ricorrente argomentazione che imputa a una regressione culturale di massa l’allontanamento crescente dall’esercizio dei diritti politici. Dalla protesta contro la “casta” al puro e semplice “me ne frego”. Un passaggio che può prendere due strade. La prima è quella dell’astensione, la seconda quella del voto opportunistico, e cioè l’idea che il prevalere di questa o quella lista possa, per via diretta o indiretta, arrecare qualche vantaggio personale o, quantomeno, conservarne qualcuno di quelli già consolidati.

E’ quest’ultima la lettura del risultato elettorale proposta da Beppe Grillo che se la prende con i “garantiti”, proprio nel momento in cui, almeno guardando ai grandi numeri, cessano in larga misura di esserlo. Ma non è certo una interpretazione di nuovo conio. Resta il fatto che entrambe queste opzioni scaturiscono da un comportamento di carattere razionale, da una lunga sedimentazione dell’esperienza. Non è dunque l’oppio dei popoli, somministrato per varie vie, da quelle mediatiche a quelle di un sistema educativo in disfacimento, ad «allontanare i cittadini dalla politica» ma uno svolgimento della vita quotidiana, una pratica delle relazioni sociali, una arte di arrangiarsi, individuale e collettiva, che non vede, per esperienza diretta e non per convinzione ideologica, nei canali della politica, nei suoi dispositivi, nei suoi strumenti e nelle sue sedi alcuna possibilità di acquisire risorse e spazi di libertà, in breve nessuna prospettiva. E’ la vita “informale” che prende commiato dalle forme entro cui la politica vorrebbe racchiuderla senza poterla soddisfare, quando non reprimendola. E di queste forme, sebbene nel più sgangherato dei modi, il Movimento 5 stelle fa indiscutibilmente parte. Spingendole talora fino al parossismo di un estenuante dibattito su scontrini e ricevute che ha finito col trasformare perfino l’indignazione in fastidio.

Il tentativo dei 5 stelle di porre rimedio alla crisi della rappresentanza, restaurandola sotto il segno di una trasparenza più molesta che sostanziale e di un culto del tutto acritico della legalità, sembra volgere al termine. I partiti principali se ne rallegrano. E sbagliano. Perché nella crisi del movimento di Grillo agiscono le stesse forze e le stesse tendenze che impediranno loro di uscire da una esistenza sempre più spettrale e di arrestare l’inesorabile contrazione cui sembrano destinati, malgrado l’occasionale e precaria “tenuta” di cui possono menar vanto in questa o quella circostanza.

Tutti mostrano allarme e preoccupazione per la crescita dell’astensione, chi battendosi il petto, chi prendendosela con un presunto dilagante analfabetismo politico, chi con il potere corruttore degli avversari. Ma tutti con grande fretta di passare oltre. Oltre la questione decisiva. Certo, conferire un segno politico determinato all’astensione è sempre una forzatura, ma un segno sociale bisognerebbe pur fare lo sforzo di leggerlo. Senza retorica e senza troppo facili entusiasmi. Ma senza neanche escludere che nella diserzione possano celarsi anche un laboratorio politico e perfino forme di organizzazione collettiva intente a ricercare altre strade, sottraendosi a quelle vecchie più o meno reimbiancate.

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