Cultura

Se il mondo non è ancora un bel posto

Se il mondo non è ancora un bel postoRed Square di Federica Landi

Anticipazione Un estratto dalla lectio che la filosofa svizzera terrà domenica 26 nella cornice della Biennale Democrazia. Titolo, «Solidarietà con il liberalismo nel momento della sua caduta»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 marzo 2023

Attualmente stiamo vivendo una sorta di crisi della narrazione (o «copione») liberale, la stanchezza storica di quello che alcuni amano chiamare l’ordine mondiale liberale e democratico. L’ordine mondiale liberale, così come era stato promesso, viene posto in crisi non solo dalla situazione mondiale, dalla preoccupante ascesa al potere di despoti illiberali, da una guerra di aggressione contro le istituzioni internazionali – ma anche dalla diffusione di atteggiamenti populistico-autoritari che stanno facendo, ai danni di quelle stesse istituzioni, una pressione sempre più spudorata.

Non da ultimo, gli innumerevoli profughi annegati nel Mediterraneo sono diventati un simbolo del fatto che ai confini dell’Europa – proprio quell’Europa che ancora si ritiene un baluardo della democrazia e dell’ordine giuridico liberale – vengono elusi pure i minimi standard di umanità.

Quel liberalismo, che ha grandemente plasmato l’ordine mondiale in cui viviamo, è quindi altrettanto grandemente in difficoltà. Ora, questo non è un motivo di compiacimento bensì di preoccupazione. È una situazione che deve essere allarmante anche per coloro per i quali (e io mi annovero tra questi) il liberalismo non è mai stato abbastanza. Dopo tutto, è il paradigma dominante dei tempi, così come li conoscevamo: un paradigma che, se scomparisse, cambierebbe in modo imprevedibile il sistema di coordinate politiche (e presumibilmente – questa purtroppo non è una scommessa particolarmente azzardata – non a nostro favore).

DOBBIAMO quindi praticare la «solidarietà con il liberalismo nel momento della sua caduta», per parafrasare il titolo del famoso saggio di Adorno? E se sì, in cosa consisterebbe? Tale solidarietà – e quindi anche la possibilità di un «salvataggio» del liberalismo – può consistere solo nello spingere quest’ultimo oltre sé stesso, nel tentativo di trascenderlo.
È necessario però concentrarci sugli elementi centrali del liberalismo, prima di poterlo superare. Naturalmente non c’è di una unica sua tipologia, ce ne sono molti. Eppure esistono elementi comuni a tutti gli approcci. Il termine «copione liberale», coniato da alcuni colleghi, mi viene qui in soccorso: tale copione comprende non solo le idee, ma anche l’implementazione pratica e istituzionale di un ordine sociale.
Gli elementi fondamentali sono dunque l’idea di autodeterminazione individuale e la fondamentale uguaglianza e il pari valore di tutti
Inoltre, lo Stato di diritto è senza dubbio uno degli elementi fondamentali di un ordine sociale liberale. Il principio del merito, a sua volta riflette l’orientamento (non gerarchico e antitradizionale) verso l’individualità; il carattere universalistico è alla base del suddetto insieme di elementi.
Ora, quando parlo di stanchezza o di erosione del liberalismo, non mi preoccupo tanto di stabilire se questo sia stato confutato o possa ancora essere difeso – ma piuttosto di capire il carattere e le cause della sua crisi.

COME SOSTIENE Thomas Kuhn, «le rivoluzioni politiche sono iniziate da una crescente sensazione che le istituzioni esistenti abbiano cessato di essere in grado di far fronte ai problemi posti da un ambiente in parte creato da loro stesse». Nel caso di molti paradigmi che hanno avuto un impatto sulla storia del mondo, si può affermare che non siano stati confutati, bensì superati perché non in grado di fronteggiare la pressione dei crescenti problemi.
Questo è esattamente ciò che sta accadendo, o rischia di accadere al liberalismo, senza che sia ancora possibile prevedere quale nuovo paradigma potrebbe prendere il suo posto o quale prevarrà. Ma se questa tesi è corretta: quali sarebbero i crescenti problemi che non può più sopportare?

IN PRIMO LUOGO, c’è la pura preesistenza di fenomeni come la disuguaglianza, lo sfruttamento e l’esclusione, la precarietà e il razzismo. Semplicemente il mondo non è ancora un bel posto, ed è solo per pochissimi (privilegiati) un luogo dove poter godere della libertà liberale o dell’uguaglianza, o anche della famosa pursuit of happiness.
Questa perdita di credibilità può essere vista anche in uno dei «nodi» che il pensiero liberale stesso si è prefissato di sciogliere: ovvero il pluralismo, così come si è manifestato storicamente nelle guerre civili religiose; nel liberalismo politico moderno simili situazioni vengono innescate dalla pretesa di una società plurale e multiculturale.

Rahel Jaeggi

IL PRINCIPIO LIBERALE di neutralità è la soluzione al problema del pluralismo nella misura in cui rappresenta un tentativo di risolvere le differenze (ideologiche) potenzialmente conflittuali e ostili, e di stabilire un modus vivendi in base al quale gruppi diversi possano convivere, all’interno di un ordine (giuridico) condiviso.
L’approccio risolutivo della neutralità etica (o «astinenza etica») propone che l’ordine sociale sia visto come un insieme di istituzioni eticamente neutro all’interno del quale tutte le possibili forme di vita possono essere tollerate e prosperare.
Ciò è legato alla rinuncia a una spiegazione ultima e metafisica di un’etica comune vincolante del vivere insieme.
Qual è, dunque, il problema di questa soluzione, che a prima vista (nel suo antipaternalismo e promessa di autonomia) appare così plausibile?

SEMBRA che il modus vivendi su cui si fonda il liberalismo, o che vorrebbe realizzarlo, non funzioni più. Si è rivelato illusorio. Il fattore decisivo è che l’idea di neutralità etica di fatto non contribuisce più alla pacificazione dei conflitti. Al contrario, i critici del paradigma liberale occidentale lo odiano per questo. Come spiega Homi Bhaba, «l’affermazione che la cultura occidentale non è di per sé una cultura (cioè non è di per sé un insieme di credenze e pratiche) è la vacca sacra del liberalismo».
La neutralità stessa (l’affermazione che si possa mettere da parte valori etici sostanziali) è di per sé una posizione definita e nient’affatto auto-evidente.

IL COMPITO più importante del modello liberal – ovvero la pretesa del mantenimento della pace – è fallito. La modalità di conciliazione liberale, che era sostenuta dalla speranza che la rinuncia a sostanziali antagonismi ideologici o religiosi avrebbe contribuito alla pace, si è rivelata essa stessa un pomo della discordia.
Solidarietà con il liberalismo nel momento della sua caduta può allora significare solo prendere sul serio la crisi del liberalismo e affrontarla alla radice.
O, per dirla con Adorno, «prendere il liberalismo così sul serio da spingerci a superarlo». Se si dovesse chiamare socialismo la posizione risultante, probabilmente non si sbaglierebbe poi tanto.  (Traduzione di Irene Orrigo)

 

SCHEDA

Rahel Jaeggi, docente di filosofia sociale e politica all’Università Humboldt di Berlino è tra gli oltre 220 ospiti di Biennale Democrazia, la manifestazione culturale promossa dalla Città di Torino, ideata e presieduta da Gustavo Zagrebelsky ( in programma fino a domenica 26). Jaeggi terrà una lectio dal titolo «Solidarietà con il liberalismo nel momento della sua caduta», il 26 alle ore 15.00 presso l’Aula Magna Cavallerizza Reale. L’ottava edizione di Biennale Democrazia – «Ai confini della libertà» – riflette sul complesso rapporto fra libertà e democrazia, dentro e fuori le frontiere della nostra società. Una riflessione a partire da quattro itinerari tematici, cui quest’anno si aggiungono le sezioni Democrazia Futura, dedicata ai giovani e alle scuole e Democrazia Diffusa, realizzata in sinergia con le realtà culturali del territorio. Tra gli ospiti internazionali: Jean-François Bayart, Isabelle Ferreras, Stéphane Grumbach, Mikhail Minakov, Xavier Tabet, Ece Temelkuran. Info: biennaledemocrazia.it.

 

 

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