Da quando, in una soffocante giornata di luglio del 1904, le spoglie di Anton Cechov furono riportate dalla Foresta Nera a Mosca, in un vagone merci su cui, con un effetto degno dei suoi racconti comici, c’era scritto «Ostriche», innumerevoli sono state le rielaborazioni più o meno ardite del suo lascito teatrale relativamente esiguo. Alle soluzioni sceniche variamente riuscite che le pièce dello scrittore stroncato dalla tisi a quarantaquattro anni hanno ispirato ai registi di tutto il mondo, vanno aggiunte – in una vertiginosa moltiplicazione di specchi – le trasposizioni cinematografiche che si sono succedute nel tempo. Se in Vanya...